Intervista al professor Andrea Caspani
Riportiamo l’intervista condotta al prof. Andrea Caspani, già docente di storia e dirigente scolastico, direttore della rivista online LineaTempo – Itinerari di ricerca storica e letteraria (http://www.lineatempo.eu). Ha svolto per vari anni il coordinamento del tirocinio e il laboratorio di didattica della storia per le SSIS, ha tenuto corsi di Storia contemporanea e di Didattica della storia all’Università Cattolica. Ha pubblicato vari studi di didattica della storia e di storia moderna e contemporanea, fra cui Memoria storica e insegnamento della storia (2003); La storia italiana: una questione d’identità (2005), Storie scelte. Elementi e pratiche di una didattica della storia (2008) L’Italia di Manzoni (2011), La prima follia mondiale chiamata guerra (2014). Ha curato la mostra storica del Meeting di Rimini: Testimoni della verità nell’Italia in guerra. La resistenza cancellata (2007).
In una nostra precedente newsletter (n. 10 del giugno 2021) era apparsa una sua intervista sul bicentenario napoleonico che potete leggere cliccando qui.
Citando March Bloch e il suo “Apologia della storia o mestiere dello storico”, certamente uno dei testi classici della riflessione sul senso e sul metodo della storiografia, vorrei partire chiedendole “A cosa serve la storia?”.
Questa bellissima domanda colpisce il problema dell’attuale disaffezione nei confronti della storia soprattutto da parte dei giovani. Il punto di partenza per una risposta esistenzialmente adeguata è comprendere che la storia, intesa come consapevolezza dello svolgersi dell’io nel tempo, è una dimensione costitutiva dell’umano, è ciò che permette la formazione dell’identità di una persona, perché ci apre alla realtà a 360 gradi,mettendoci in contatto con il mondo da cui veniamo, e aiutandoci a contrastare la mentalità di oggi tendenzialmente individualistica, che sembra teorizzare che ognuno si fa da solo o decide da solo il senso di tutte le cose. La storia invece ci insegna che noi non ci facciamo da soli, come si può notare semplicemente guardando il proprio ombelico (immagine che di solito viene utilizzata per dire che ognuno pensa solo a sé ed è responsabile solo di sé stesso), perché proprio l’ombelico indica che ciascuno di noi viene da altri.
In questo senso la storia serve ad aprirsi ragionevolmente al futuro e a combattere il presentismo attuale, perché fa comprendere che l’attesa e l’apertura al futuro non è connessa solo all’immediato presente, ma che questo è frutto e sviluppo di un passato, che va ricompreso, rielaborato ed assimilato criticamente se non si vuole vivere in modo squilibrato.
Il compito della storia è aiutarci a comprendere le nostre radici: acquisire la consapevolezza che, se vogliamo guardare realisticamente in avanti, occorre prendere coscienza che veniamo da lontano. Faccio un parallelo con quanto ci insegna la psicoanalisi sull’importanza di una equilibrata memoria personale (che superi cioè le lacune e le ferite del passato che hanno condotto alle rimozioni di cui tante volte non siamo neanche consapevoli) per la formazione di una personalità adulta responsabile: ebbene la storia, che è la nostra memoria sociale, svolge la stessa funzione terapeutica della psicoanalisi su un piano più generale, infatti se non ripercorriamo bene il nostro passato, con le sue luci ed ombre, come popolo, come umanità, rischiamo di non riuscire a guardare in modo realistico al presente. Chi non fa questo dà ragione a quel detto che dice che chi non conosce la storia è destinato a ripeterla, e aggiungerei, a ripeterla soprattutto nelle sue ombre
“Historia magistra vitae” diceva Cicerone. Cosa pensa di questa celebre definizione? Ce n’è una che si sente di dare o a cui si sente più vicino?
Questo giudizio di Cicerone è molto interessante, ma è solo parzialmente vero: perché normalmente porta a considerare la storia come un catalogo di episodi, strutture e concezioni da utilizzare per non ripetere gli errori del passato. In questo senso non è vero che la storia è magistra vitae, tanto è vero che molti oggi sostengono essere evidente l’esatto contrario, ovvero che dal passato non si può imparare niente, visto che si continuano a ripetere gli stessi errori del passato, come ad esempio mostra il continuo ripresentarsi delle guerre viste come l’unico modo per risolvere i problemi drammatici dei popoli e dell’umanità.
Occorre riconoscere che la storia non ci insegna come evitare gli errori del passato. Da questo punto di vista io ritengo più vera l’affermazione di Umberto Eco, che in un passo famoso diceva che la storia insegna a capire come si è arrivati a questo punto, ma non dove si va. Anzi, lui aggiungeva che, se qualcuno ti dice che la storia insegna come andranno le cose è o un ingenuo o un mascalzone. Al di là della battuta, la storia, secondo me, è magistra vitae nel senso che ci permette di contestualizzare il nostro passato, e attraverso di esso di cogliere ed incontrare il tesoro dell’esperienza umana dei nostri predecessori, che è fatta non solo delle ombre della violenza e delle guerre, ma anche di aspirazioni ideali, di slanci eroici, di affermazioni di valori, di realizzazioni ed opere che hanno segnato un progresso reale nella vita dell’umanità.
Conoscere tutto questo ci permetterà di trarre ispirazioni positive dal passato, ma non ci permetterà mai di dire che direzione prenderà la storia. Perché la direzione che prenderà la storia dipende dall’atteggiamento, dalla visione, dal sogno ideale che ciascuno di noi ha, e che non è deducibile dalla somma dei fattori del passato che ci condizionano.
Se ci basiamo sulla classica distinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura, la storia viene ricondotta alle prime, attribuendole la funzione di comprendere o interpretare, piuttosto che di spiegare alla maniera delle scienze naturali. Se questo è vero, a quale grado di oggettività può aspirare la verità storica?
È pienamente accettabile la distinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura, e l’inserimento della storia nelle prime, perché l’oggetto precipuo della storia è l’uomo, anzi come diceva Marrou, la storia è proprio la conoscenza del passato umano in quanto umano. Questo non vuol dire che la storia studia l’uomo in generale, ma che si studiano gli uomini così come concretamente sono, nella loro avventura lungo la linea del tempo alla ricerca di un significato, che permetta loro la costruzione di una polis strutturata e in grado di affrontare le avversità e le sfide della realtà.
Da questo punto di vista il compito della storia è quello di comprendere il senso dello svolgimento delle azioni degli uomini e il filo sotteso che li motiva all’agire, non quello di spiegare tramite l’individuazione di leggi oggettive (come quelle della fisica) i rapporti tra le cose, tra gli enti.
L’oggetto della storia, infatti, non sono gli enti, ma gli eventi, cioè l’intreccio tra i fattori strutturali del reale, l’intenzionalità dell’agire dell’uomo e gli elementi casuali che interferiscono con questi.
In questo senso il fine della ricerca storica è la comprensione del senso degli eventi, non la loro spiegazione tramite leggi o costanti, né tanto meno la pretesa di giudicare moralisticamente gli eventi o i periodi storici. La storia non coincide con il giudizio morale sul passato, altrimenti non potremmo studiare realtà profondamente disumane come, ad esempio, il nazismo.
Ogni evento o periodo, siccome è sempre implicato l’agire umano, che è cangiante e oscillante tra l’aspirazione ai grandi ideali e il rischio della disumanità perfino nel segreto del proprio cuore, va studiato con un “oggettivo” atteggiamento di empatia verso il tentativo dell’uomo di quel tempo di trovare un significato ideale e una conseguente strutturazione della polis, ma con la consapevolezza che non si giungerà mai ad uno sguardo onnicomprensivo e totalizzante del passato, cosa che può fare solo Dio. Questo spiega perché nella scienza storica permanga sempre un margine di incertezza su diversi aspetti particolari, e sia inesauribile la possibilità di un miglioramento della comprensione dell’umano del passato da parte della ricerca storica.
Questo, però, non toglie che la storia sia una scienza che raggiunge certezze, perché il metodo storico-critico, se applicato bene, ci permette di accertare che certi eventi sono realmente accaduti, ed anche, sia pur con un’approssimazione prospettica, il perché e il come sono accaduti.
Infatti, l’obiettivo della storia non è la verosimiglianza, (che è l’obiettivo del romanzo storico o della fiction televisiva seria), ma la certezza provata sugli eventi del passato e sul senso del loro accadere. Facciamo solo un esempio molto semplice: si può discutere, e infatti lo si sta ancora facendo, sulle interpretazioni della caduta del muro di Berlino e sulle cause della fine della Guerra Fredda, ma nessuno può negare che il muro di Berlino sia caduto e che questo abbia cambiato l’orizzonte della storia europea e mondiale.
A volte può succedere di ascoltare lamenti circa un diffuso disinteresse degli studenti per la storia insegnata a scuola. Dall’altra parte, il successo, anche presso i giovani, di noti storici (come Alessandro Barbero tanto per citarne uno) e di canali di storia su internet fa pensare che l’interesse per la storia sia ancora forte, ma forse bisogna saper trovare il modo giusto per parlarne. Ha qualche riflessione da offrirci in proposito?
Certamente il contesto sociale del mondo occidentale che oggi non considera più importante la dimensione storica per la realizzazione della persona è un fattore demotivante, ma sono convinto che molte volte il problema della disaffezione o del disinteresse dei ragazzi dipende proprio dal modo di insegnare. La conferma ce la danno proprio gli storici citati sopra, che oggi richiamano l’attenzione di giovani e grandi per la loro capacità affabulatoria che evidenzia l’aspetto esistenziale dell’avventura degli uomini del passato.
Nella misura, infatti, in cui uno storico riesce a narrare, cioè a mostrare l’interazione fra l’agire e le intenzioni degli uomini con il contesto naturale e le strutture socio-economiche di un periodo dato, immediatamente si supera quell’estraneità che un ragazzo oggi vive verso ogni tipo di passato, fosse anche l’attentato alle Torri Gemelle; tutto ciò che non è nell’orizzonte del suo presente, per lui è storia “archeologica”, lontanissima da quel che sente come reale.
Passando a parlare in modo più specifico della didattica della storia, quali indicazioni generali di metodo consiglierebbe ai docenti per suscitare negli studenti l’interesse per la disciplina permettendo a quest’ultimi di raggiungere un buon livello di competenza storica? E al contrario, secondo lei, quali possono essere gli errori più comuni o le pratiche didattiche meno efficaci, ma magari ancora oggi molto diffuse tra gli insegnanti?
Il punto fondamentale è comprendere che l’insegnante di storia ha un compito diverso da quello del ricercatore. Mentre lo storico mira all’accertamento dei fatti, alla ricostruzione complessiva di un contesto e di un periodo, l’insegnante di storia ha come compito fondamentale quello di introdurre il ragazzo a immedesimarsi nella dimensione storica, a pensare e immaginare storicamente, a incontrare l’umanità degli uomini del passato. Questo richiede una prospettiva di metodo che è diversa da quella dello storico. Per questo sono falliti tanti tentativi in buona fede di cambiare la didattica tradizionale, perché hanno puntato ad esempio ad approfondire la ricerca delle fonti o il confronto tra le interpretazioni, puntando a educare il ragazzo a diventare uno piccolo storico. Di fatto mentre solo alcuni ragazzi diventeranno magari dei futuri storici, tutti possono appassionarsi alla dimensione storica nella misura in cui comprenderanno che pure in contesti ed epoche diverse gli uomini si sono posti lo stesso problema del senso della vita, dello strutturarsi della vita associata ecc. che è il problema che esistenzialmente vive anche il ragazzo d’oggi. Sono questi gli spunti che favoriscono l’immedesimazione esistenziale di un ragazzo d’oggi con le problematiche degli uomini del passato, purché naturalmente l’insegnante stia ben attento a non cadere nell’anacronismo, cioè nel presentare gli antichi come se ragionassero o avessero gli stessi ideali della nostra epoca, e ad utilizzare con accortezza i risultati delle più serie ricerche storiche.
Che la storia continui a rivestire un’importanza non secondaria, lo dimostra sicuramente l’uso pubblico della storia, con i rischi connessi di ideologizzazione e strumentalizzazione. Quale posto potrebbe avere nella didattica della storia una riflessione su tale dimensione?
La storia ancora oggi ha un grande ruolo sul piano pubblico, anche internazionale. Lo dimostra il fatto che Putin ha predisposto (attraverso anche una serie di interventi sui libri di testo) negli anni precedenti all’attacco contro l’Ucraina del febbraio del 2022, una versione della storia della Russia come di una realtà monolitica, con il principato di Moscovia quale unico erede della Rus di Kiev e il mondo ucraino strutturalmente connesso alla Grande Russia. Questa ricostruzione falsificante della storia russa (come affermano gli storici più autorevoli sul tema) è stata utilizzata come supporto “oggettivante” alle pretese russe verso l’Ucraina e purtroppo appare ancora convincente per tanti russi.
Questo significa che la storia viene usata oggi non soltanto per un discorso ideologizzato su questo o quel nodo storico (come accade da noi su tanti temi del nostro passato novecentesco), ma può essere utilizzata addirittura come fondamento per costruire una prospettiva politica di lungo periodo che condizioni lo svolgimento stesso della storia mondiale. In questo senso, a mio avviso, è molto importante sul piano culturale lavorare perché l’insegnamento della storia ritorni ad essere un asse portante della formazione scolastica.
E poi occorre un insegnamento attento a ripulire la storia da queste falsificazioni, ma questo non lo si può fare in prima battuta mettendo in luce tutti gli errori delle posizioni ideologiche, ma impostando un metodo di lavoro centrato sulla problematizzazione delle origini dei problemi storici attuali. Questo aiuterebbe subito a mostrare che la storia non è fatta tutta di luci per un soggetto e di ombre per un altro, qui il riferimento che mi viene immediato è alla drammatica situazione che sta vivendo la Terrasanta oggi: la storia delle origini della questione israelo-palestinese ad esempio permetterebbe di andare oltre agli atteggiamenti ideologici che guidano gran parte delle reazioni ai drammatici fatti che si succedono dal 7 ottobre ad oggi, favorendo una riflessione più comprensiva delle ragioni dei diversi soggetti storici coinvolti ed insieme delle ombre ma anche delle luci che hanno caratterizzato lo svolgersi degli eventi nel corso di più di un secolo di storia del Medio Oriente.
In questo senso un insegnamento storico criticamente fondato può svolgere una funzione positiva sul piano della formazione umana dei ragazzi, allontanandoli dall’idea che la storia (e soprattutto la sua interpretazione) debba sempre dividere i popoli.
Infine, un’ultima parola sulla rivista on line da lei diretta “LineaTempo – Itinerari di storia, letteratura, filosofia e arte” (www.lineatempo.eu) e rivolta agli insegnanti. Cosa vuole essere e quali scopi si propone?
LineaTempo è una rivista che è nata nel 1997 da un gruppo di docenti di storia che volevano andare a fondo del senso della storia e del suo insegnamento e da un gruppo di docenti universitari attenti alla divulgazione dei risultati della ricerca storica nel mondo della scuola. È una rivista di alta divulgazione che vuole essere di aiuto e di supporto a chi fa un lavoro di insegnamento della storia. Nel corso degli anni l’orizzonte della rivista si è arricchito ed allargato a tutta la dimensione umanistica, grazie anche al fatto che siamo divenuti una rivista online e abbiamo aperto un nostro sito dedicato.
Così sul sito, oltre alla rivista, si trovano diverse sezioni, una ad esempio sull’Ucraina, che abbiamo aperto dopo lo scoppio della guerra, per cercare di illuminare le radici storiche del conflitto, e documentare le luci di umanità che sono apparse. Recentemente abbiamo aperto un’altra sezione, intitolata “Mappe”, che vuole presentare, con testi molto brevi, libri di poesia e di letteratura significativi per la crescita dell’umano.
La rivista, che ha una periodicità quadrimestrale, è caratterizzata in ogni numero da un ampio Dossier dedicato ad un tema culturale di rilievo: per es. l’ultimo dossier è sui sentieri della pace, ossia come l’esperienza storica del Novecento non sia stata solo una storia di violenza, genocidi e guerre, ma abbia visto anche lo svilupparsi di nuove forme di lotta per la pace, dall’emancipazione non violenta di popoli oppressi all’obiezione di coscienza, tutti riferimenti che potrebbe essere utile riprendere anche in questo periodo di “terza guerra mondiale a pezzi” e che convergono con lo sviluppo della visione della pace che papa Francesco sta portando avanti sulla scia della riflessione dei pontefici precedenti.
Un’altra sezione importante della rivista sono poi i Segmenti, con articoli di docenti ed esperti di storia, letteratura, arte, filosofia e perfino di storia della musica, che illustrano o rivisitano di volta in volta diversi aspetti delle discipline umanistiche in una forma facilmente utilizzabile per chi svolge un lavoro educativo. Completano il quadro i Percorsi culturali che presentano in modo originale e sintetico autori o temi storico-culturali e le Recensioni.
Alessandro Cortese