Paese: USA – Durata: 114 minuti – Regia: Mel Gibson
Recensione
Un ragazzino sogna di essere celebrato come eroe dall’accademia militare e dai membri della sua famiglia, il suo punto di riferimento è John Wayne, ma il suo bisogno più grande è quello di colmare il vuoto di una figura paterna assente.
Tra il 12enne Chuck Norstadt e l’insegnante Justin McLeod (Mel Gibson) nasce un legame di amicizia che per entrambi costituisce la trama di un percorso di crescita personale; Chuck cerca un padre/guida per fuggire la mediocrità di un contesto familiare in cui non riesce a trovare un suo spazio, Justin, rimasto sfigurato dopo un grave incidente, prova ad autopunirsi rifugiandosi in una vita solitaria fatta di musica, scultura, pittura e poesia.
L’uomo senza volto rivela quasi subito la natura ambivalente di un ‘eroe’ diviso tra zone oscure e obblighi morali; natura che si rispecchia in un viso per metà perfetto e per metà devastato dalle cicatrici di gravissime ustioni e rimanda al personaggio Due Facce della serie di fumetti Batman.
L’arrivo di Charles porta una ventata d’aria fresca nella vita tormentata del professore; con lui può tornare ad insegnare, ma non solo: torna a parlare, a sorridere, a scherzare, a confortare… ad amare; nonostante il pregiudizio delle persone che li circondano che non riescono ad andare oltre l’apparire e non colgono la bellezza che traspare dalla relazione tra il professore e il ragazzo. La colpa di cui il professor Mc Leod viene accusato è quella di amare il suo alunno, di amarlo come un vero padre, come quel padre che Charles non ha mai avuto accanto, di abbracciarlo con l’innocente speranza di un semplice conforto.
Impara o vattene, è il motto un po’ sbrigativo del processo educativo di Justin e Chuck, spinto da un forte desiderio di conoscenza, vince la repulsione iniziale per la deformità corporea e dei modi poco ortodossi del maestro, per progredire in un percorso di conoscenza, ma soprattutto di scoperta di sé. Il filo conduttore della loro relazione è l’impostazione di un educazione “al maschile” l’incentivo a cogliere la sfida e la necessità di porsi sempre obiettivi ambiziosi. Chuck proclama la sua voglia di cambiare il sistema e il desiderio di staccarsi in volo da terra per vedere le cose dalla giusta prospettiva (bellissima la scena del volo con il piccolo aeroplano sospeso sopra le acque dell’Atlantico).
In una società bigotta che finge di essere rivoluzionaria per poi fermarsi alla superficie della verità e osservare solo una parte del volto, l’amicizia tra Chuck e Justin resiste alla maldicenza e alla illazione e rivela la tristezza di un mondo che, se trasformato in palcoscenico, costringe ognuno a recitare una parte, a discapito della scoperta di sè.
L’uomo senza volto può essere definito un racconto di formazione che esalta il tema dell’amicizia senza mai cadere nel retorico, ma soprattutto fa riscoprire la bellezza dell’insegnamento in cui l’adulto, l’insegnante, affianca e guida il ragazzo nel suo percorso crescita, con il desiderio di portarlo alla scoperta di sé e dei propri talenti.
Il finale riprende i cappelli lanciati in aria del sogno di Chuck nel prologo: oltre il muro di folla, il saluto di Justin, del maestro all’allievo, è un messaggio di incoraggiamento e speranza di chi ha percorso un tratto di strada al suo fianco e ora è pronto a farsi da parte per lasciarlo entrare nell’età adulta.