Paese: Canada – Durata: 94 minuti – Regia: Philippe Phalardeu (tratto dal soggetto teatrale di Evelyne de la Chenelière)
Mi era stato presentato come il film che ogni educatore e insegnante deve vedere.
Ed effettivamente è così, grazie alla maestria con cui il regista, Philippe Phalardeu, imprime sulla pellicola una lunga serie di tematiche educative che toccano nel profondo la sensibilità dell’osservatore.
Già dai primi minuti si potrà notare la genialità della storia, introdotta in medias res da un evento tanto drammatico quanto paradossale: l’impiccagione di una maestra nella sua classe canadese, durante l’intervallo, e ritrovata poi dagli stessi bambini. La scuola elementare, ambiente archetipico di gioia e di vita, che diventa luogo di morte. Un evento così terribile ma che scoperchia, senza pesanti moralismi, un sistema scolastico rigido, disciplinare, tanto legato alle metodologie didattiche ma incapace di saper affrontare con umanità la tragedia della morte. Non serviranno a nulla psicologi, tinteggiature della classe, metodi educativi speciali. La soluzione sarà il supplente della maestra suicida, Monsieur Bashir Lazhar, di origine algerina. Un professore vecchio stampo, che non è aggiornato sulla grammatica francese e che non conosce una parola di inglese ma che può comprendere perfettamente il disagio vissuto dai suoi alunni. Monsieur Lazhar infatti ha sperimentato direttamente cos’è la morte e la paura, a causa dell’assassinio della sua famiglia da parte dei terroristi algerini e la lotta che porta avanti per ottenere il permesso di soggiorno. Con la sua innocenza e bontà, anche nella rigidità delle regole, Lazhar riesce a conquistare il cuore dei suoi alunni, in particolare di Alice. Ed è così che, nella classe, si crea quello spazio di reciproca intimità che permette di affrontare la morte, il senso di colpa, la paura, la depressione, anche con i ragazzi più resistenti. La profondità educativa di Lazhar stravolge tutti i paradigmi della classe e un abbraccio caloroso si trasforma da un gesto di ambiguità a una manifestazione di complementarietà tra studente e insegnante. Un metodo che va oltre gli schemi e che non è compreso dal mondo degli adulti, colleghi e genitori, che infine gli si ritorcerà contro.
Il pubblico potrà in questo modo gustare un film profondo e intenso, mai banale e buonista o critico e rigido, ma estremamente vero, reale e comprensibile. Un film che, grazie anche alle inquadrature ragionate, permette di vivere in prima persona il dramma della classe e il cammino riabilitativo “alternativo”, in cui l’educazione diventa guarigione, sia per gli alunni che per Monsieur Lazhar.
A questo noi tutti dovremmo aspirare: che l’educazione possa essere guarigione.
Stefano Sasso