Nel 2021 ricorre il VII centenario della morte di Dante Alighieri, il sommo Poeta che più di tutti ha “sdoganato” la lingua italiana e ha consegnato ai posteri uno dei più grandi capolavori dell’intelletto umano.
Uomo del suo tempo, pienamente inserito nella realtà sociale, politica e culturale del Medioevo, Dante si è tuttavia fatto interprete delle immortali aspirazioni del cuore e della mente dell’uomo.
Prof. Rizzi, sappiamo che lei utilizza molto – e con grande profitto – la Divina Commedia nelle sue lezioni con alunni della scuola secondaria di I grado. Come riesce ad entusiasmare i ragazzi del III millennio all’opera dantesca, così lontana dai loro riferimenti culturali?
«Nel mezzo del cammin di nostra vita…» sembra un incipit rivolto primariamente a persone già ricche di esperienze e con anni alle spalle, ma Dante voleva essere davvero così “esclusivo” o avrebbe avuto il piacere di sapere che il suo testo interpella e coinvolge anche i più giovani o addirittura i giovanissimi? Effettivamente quest’anno con i ragazzi di una seconda secondaria abbiamo intrapreso il viaggio che Dante ha inaugurato e di cui si propone come guida: per me è stata la prima volta che mi capitava di provare a rendere destinatari della “Divina Commedia” dei ragazzi di dodici anni. Indubbiamente all’inizio dell’anno, durante il periodo delle “fatidiche” programmazioni, avevo qualche dubbio su come potesse essere recepito e accolto questo testo, cioè sulla possibilità per ragazzi della scuola secondaria di primo grado di avere gli strumenti e le capacità per, non solo comprendere, ma anche apprezzare – e magari anche entusiasmarsi – per le terzine più famose della letteratura italiana. L’opportunità e l’efficacia della proposta, mi sono detto, passerà inevitabilmente dalla capacità di intercettare un loro interesse, una loro domanda o semplicemente una loro curiosità. Dante può rappresentare un punto di attrazione per i giovanissimi oppure come i tanti oggetti “culturali” (musei, mostre, conferenze, ecc.) alle loro orecchie il solo nome o la sola proposta produce un immediato calo dell’interesse e un crollo, quasi spontaneo, della loro attenzione? Tanti sono gli elementi che potrebbero scoraggiare quest’occasione che abbiamo scelto di perseguire quest’anno: l’ostacolo linguistico, la non immediatezza di alcuni temi trattati, la difficoltà oggettiva di alcuni contenuti, la lontananza storica, culturale delle vicende narrate, ecc. A ciò si deve aggiungere il fatto che parlare oggi a un ragazzo di seconda media di poesia significa, di fatto, perdere il contatto comunicativo: come iniziare a parlare in un’altra lingua, oscura e incomprensibile, e per giunta di scarso interesse. La poesia – queste sono le percezioni emerse più volte dai ragazzi – è lenta, “faticosa”, noiosa e i poeti sono inutilmente complessi, orgogliosi dei loro giochi di parole e completamente ripiegati su una sorta di sentimentalismo vuoto ed emotivo, un inno soggettivo e melanconico di un malessere di cui, sinceramente, se ne può fare anche a meno. MA – e questo ma vuole richiamare quello che spiega il motivo per cui Dante ha desiderato raccontarci il suo viaggio, forse il “ma” più importante della letteratura italiana: «MA per trattare del ben ch’i vi trovai, / dirò delle altre cose ch’i’ v’ho scorte» – i ragazzi a questa età sono appassionati di storie e sono avidi di esperienze. Storie, insomma, quelle in cui loro sguazzano quotidianamente e in cui sono totalmente immersi: i videogiochi ormai onnipresenti e che potrebbero essere considerati, a dirla grossa, i romanzi della nostra epoca; i social, con le “storie” di Instagram o i video di Youtube. Allora la domanda diventa: la storia di Dante può strappare dagli schermi la loro attenzione e accendere la loro curiosità? Come sempre, infatti, dipende dalle storie che si scelgono di raccontare: a me sembra che Dante abbia scritto “LA” storia che, se ben adattata, non può lasciare indifferenti. Adattamento: utilizziamo un testo in prosa con numerosi riferimenti alle terzine originali e, a volte, concedendoci il piacere di qualche episodio completo dall’”originale”. L’approccio narrativo, le storie dei singoli personaggi, i numerosissimi argomenti che scaturiscono dalla lettura sono gli ami che, una volta lanciati, prendono i ragazzi nella rete delle curiosità, delle domande, di un apprendimento che non nasce da un’imposizione esterna e si traduce solo in un mero accumulo di nozioni, ma una voglia di sapere che mi sembra possa essere considerata il vero obiettivo dello studio della letteratura. In più, aggiungerei il fatto che, sebbene oggettivamente alcuni contenuti siano difficili e distanti dalla loro esperienza quotidiana, il fatto di proporgli un testo “arduo”, di alzare un po’ l’asticella dell’ostacolo da saltare, ha prodotto una sorta di sfida rispetto alla quale i ragazzi di dodici anni – sì, anche quelli “di oggi” – non si sono tirati indietro. Anzi, in conclusione, direi che prenderli sul serio, trattarli da “grandi”, forse è proprio quello che cercano maggiormente e di cui hanno bisogno a questa età.
Quali sono i feedback che riceve dagli alunni durante e dopo le sue lezioni? Mi spiego meglio: riescono i contenuti dell’opera dantesca a “fare breccia” nelle menti e nei cuori dei suoi giovani allievi?
In un tema, nel quale ho chiesto loro di scrivere in merito a quale argomento avesse colto di più la loro attenzione, le “storie” che hanno generato più sorpresa (ma si potrebbe dire anche paura, commozione, ribellione, ecc.) sono state quelle degli Ignavi e quella del Conte Ugolino. Degli Ignavi colpisce come essi, non avendo scelto né il bene né il male, proprio per questo motivo, si trovino «a Dio spiacenti e a’ nemici sui», esclusi anche dall’Inferno. La prima volta che ho letto questo brano a ottobre sono stato letteralmente travolto da domande: moti di indignazione, domande esistenziali (“Non vado a Messa spesso né faccio nulla di male: perciò finirò in questo gruppo?”), considerazioni svariate sul perché e il percome Dante avesse fatto bene/male a creare questo specie di sottogruppo rigettato da tutti e punito in un modo così orribile e repellente. Anche durante il corso dell’anno questo episodio è stato uno di quelli che maggiormente ha “fatto breccia” ed è stato più volte richiamato all’attenzione e alla memoria. Per esempio in occasione del Dantedì a scuola abbiamo proposto alcune letture di Dante e il brano più scelto dai ragazzi è stato proprio questo. Molte altre vicende dell’Inferno hanno “fatto breccia”: Paolo e Francesca, Pier Delle Vigne, Ulisse, il Conte Ugolino e Lucifero. Indubbiamente l’Inferno è quello che ha attirato di più e che ha prodotto maggior curiosità. Ho percepito l’emozione sincera di alcuni ragazzi alla lettura del brano sul Conte Ugolino (un ragazzo è andato a Pisa in quei giorni e mi ha contattato online solo per dirmi che aveva visto la Torre della Fame), ho colto la curiosità di vari alunni nel vedere Dante mettere il suo maestro all’Inferno o nel vedere la forza con cui condanna uomini di Chiesa e alcuni papi. Seguire le storie dei personaggi, permettere loro di raccontarle e di riscriverle, chiedere la loro opinione: tutte modalità didattiche che sono servite a coinvolgerli e a mantenere vivo il contatto con il testo. Tre esempi concreti che hanno permesso di mantenere accesa la loro attenzione nel corso della lettura; potremmo intitolarli: “Trova la legge del contrappasso”, “Improvvisati un nuovo Dante”, “Leggi, rileggi e…impara a memoria”. La curiosità di vedere le pene dei dannati ha portato la stragrande maggioranza della classe a procedere in autonomia nella lettura per vedere la pena successiva: più di metà della classe aveva concluso la lettura dell’Inferno quando ancora in classe stavamo commentando le Malebolge. Scoprire la pena, saper spiegare il contrappasso, conoscere la struttura dell’Inferno (mi sono servito anche di qualche tavola e di qualche video), spiegare i diversi tipi di peccati, la loro tipologia e le loro caratteristiche, il “protagonista” di questo o di quell’episodio, sono stati gli elementi che hanno catturato la loro curiosità. Mi sono divertito molto nel leggere alcuni temi che gli ho assegnato in cui dovevano, per esempio, raccontare un certo episodio immedesimandosi in un personaggio dantesco oppure inventare una nuova pena per una categoria di peccatori contemporanea che a loro parere Dante avrebbe inserito nella Commedia se l’avesse scritta oggi. Vederli scrivere dei testi, tentando di mantenere il sapore dantesco, catalogando come traditori i cyber-bulli, condannando le slealtà quali le mormorazioni, le prese in giro o denunciando il razzismo…mi sembrano esempi significativi di come, sul modello di Dante, si possa prendere posizione rispetto ad alcuni comportamenti, la cui maggior consapevolezza li potrà aiutare nel mantenersene a distanza. Poi certo c’è stato anche chi si è divertito a descrivere le pene più crudeli per chi non studia o per coloro che non tifano una certa squadra, ma questo fa parte del gioco. Ho trovato molto utile, e mi sembra sia stato apprezzato, anche il fatto di imparare alcuni brani a memoria per poi recitarli: l’iscrizione sulla porta dell’Inferno, il discorso di Ulisse, la preghiera di san Bernardo…o addirittura un intero canto! Ho lanciato quest’ultima sfida durante la prima lezione e so che c’è qualcuno tra gli studenti che ci sta provando…vedremo nel prossimo mese
Quale reazione suscita l’aldilà in ragazzi abituati a una visione tutt’altro che trascendente, immersi costantemente nel presente?
Mi viene in mente una barzelletta in cui la maestra chiese alla classe chi tra gli studenti volesse andare all’Inferno: tutti gli alunni impauriti e timorosi rimasero al loro posto senza fiatare né alzarono la mano. Allora la maestra riprese: «Chi vuole andare in Paradiso?». Tutti nella classe risposero in fretta sbracciandosi e urlando uno sopra l’altro: «Io, io!». Solo Pierino non aveva mosso ciglio e non aveva alzato la mano a nessuna delle votazioni. La maestra preoccupata gli chiese: «Pierino, tu non vuoi andare in Paradiso?» e Pierino le rispose: «Per la verità, per ora, sto bene anche qua!» I ragazzi, nonostante le apparenze, pensano molto all’aldilà, e mi sembra che vadano presi sul serio, senza storielle o favolette che non accontentano più, non bastano alla loro età. Cercano spiegazioni, chiedono perché, vogliono, e a volte esigono, da genitori e professori o educatori in genere, la verità. Molti durante quest’età hanno già conosciuto la morte o la sofferenza perché magari hanno perso qualche persona cara: i nonni, una zia, il vicino di casa o un conoscente di famiglia per qualche incidente. Credo sia doveroso provare ad aiutarli a darsi delle risposte, sapendo che le domande sulla morte o sulle realtà ultime già le coltivano in modo vivo e personale. Credo che la Divina Commedia li possa aiutare a formarsi un pensiero, a riflettere sul bene e sul male, a mettersi in discussione: il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza. Ecco credo che Dante aiuti a non rimanere indifferente, a porsi domande, a non accontentarsi. Il problema della mancanza di trascendenza non è dentro gli alunni, ma è fuori di loro ed è così invadente questa sorta di appiattimento sull’oggi, sul possesso, sul “mio”, che penso che Dante possa solo essere un’occasione in più per ciascuno per alzare lo sguardo e gustarsi un po’ il panorama e cercare l’orizzonte. Viva Dante se riesce davvero a scuotere un po’ le rassicuranti, quanto ingannevoli, certezze della comodità e di un certo clima consumistico e egocentrico! Viva Dante se riesce a restituire un poco di interiorità e di capacità critica e di riflessione! Viva Dante se si generano discussioni e nascono occasioni di confronto su che cos’è il bene e che cos’è il male, su chi è l’uomo e chi è Dio. Direi che Dante può stimolare ad avere prospettiva, e non solo in una dimensione di fede, anzi direi che prima ancora incoraggia una riflessione a partire semplicemente da chi è l’uomo, da quali siano i suoi desideri e come questi si possano configurare in un orizzonte ampio di senso. I ragazzi di dodici anni frequentemente sono abituati a stare in superficie (spesso è la superficie di qualche schermo che diventa un filtro che può separarli o allontanarli irrimediabilmente dalla realtà stessa) e non sono abituati a scendere in profondità e a coltivare uno spirito riflessivo, tanto da diventare assuefatti o anestetizzati rispetto a ciò che li circonda. Sembrano indifferenti (solo sembrano!), ma bussando al cuore con la potenza del racconto di Dante credo che naturalmente si sentano scossi, messi in discussione, e diventino perciò attivi e partecipi: durante le lezioni molte volte, senza che io lo stimolassi, proiettavano ciò che leggevano sulla loro vita e molte volte sono venute fuori domande più esistenziali e cariche di significato. Direi che Dante incoraggia a guardarsi dentro e ciò è utile ad ogni età, particolarmente efficace in un’età in cui i ragazzi strutturano i primi “esperimenti” di pensiero critico e iniziano a prendere decisioni in autonomia.
Nella recente lettera apostolica Candor lucis aeternae, papa Francesco parla della vita di Dante come “paradigma della condizione umana”. È d’accordo con questa affermazione?
Intanto mi ha fatto molto piacere costatare che anche Papa Francesco abbia dedicato attenzione all’anniversario dantesco. Sono convinto che lo stile “pastorale” di questo pontefice abbia intravisto in Dante un elemento di dialogo, un terreno fertile di semina e di confronto con l’uomo di oggi. Se è vero che la letteratura fa vivere le grandi storie in quanto esse sono espressione e simbolo dell’aspetto più profondo dell’umanità (e proprio perciò esse hanno la capacità di interrogare l’uomo di ogni epoca), allora credo che il Papa abbia desiderato, non solo unirsi ai cori di omaggio al Sommo Poeta, ma anche cogliere l’opportunità per incoraggiare l’uomo di oggi alla speranza cristiana. Lasciar parlare Dante attraverso la bellezza dei versi della Commedia perché essa “attrae” – un’altra parola chiave per Papa Francesco – e offre, allo stesso tempo, un cammino e una luce di speranza. Per dirla con Dostoevskij: «Lo conoscevi questo segreto? Ciò che fa paura è che la bellezza non sia soltanto spaventosa ma anche misteriosa. Qui il diavolo combatte con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo». La bellezza, anelata e cercata da ogni uomo, – come il bene e il buono – spalanca le porte alla gioia ed è Dante stesso a confermarcelo, quando ormai arrivato alla fine del suo viaggio nell’Aldilà, nella festosità della rosa dei beati, intravede la Madonna e La descrive con parole semplicissime ma dense di significato: «Vidi ridere una bellezza». Per me questa è la sintesi più potente per raffigurarci il Paradiso, l’esito finale del viaggio «da l’infima lacuna de l’universo» alla visione stessa di Dio, a cui Dante ci stimola a guardare e a cui il Papa ci incoraggia a fare affidamento con fiducia. “Siamo nati e non moriremo mai più”, è uno degli appunti di Chiara Corbella Petrillo, una giovane madre e sposa prossima alla beatificazione (consiglio la lettura della commovente biografia): è un’altra testimonianza forte e audace di chi ha già percorso questo cammino.
Daniele Marazzina