Paese: USA – Durata: 85 minuti – Regia: Nanfu Wang, Lynn Zhang
Questo è uno di quei docufilm che vale la pena vedere, anche se ancora solo in inglese, sottotitolato in italiano. La fruibilità è però garantita dalla disponibilità su Prime Video, piattaforma molto utilizzata.
L’autrice e regista, Nanfu Wang, è una donna cinese nata nella provincia di Jiangxi nel 1985; Nanfu si trasferisce per gli studi universitari negli Stati Uniti. Qui rimane, si sposa e ha il primo figlio. Solo allora si ricorda di come la sua infanzia fosse stata diversa, si rende conto di tante piccole cose che non tornano, come la vergogna di dire che aveva un fratello minore, cosa permessa dalla legge (dopo 5 anni dalla prima gravidanza, solo per le popolazioni di alcune zone rurali), ma non socialmente degna di lode e accettazione.
Anche il suo nome è significativo: Nanfu significa “Maschio pilastro della famiglia”, nome che, dato ad una bambina, dice molto dei desideri della famiglia. E a lei è andata bene: nel suo paese c’è chi si chiama “Speriamo che il prossimo sia maschio”! Il figlio maschio, infatti, in Cina assicura un aiuto ai genitori anche in età avanzata; la femmina, invece, una volta sposata, diviene “proprietà” della famiglia del marito.
Dall’introduzione del divieto di avere più figli, la nascita di una bambina è divenuta una vera e propria disgrazia. La cosiddetta “Legge del figlio unico” è stata introdotta in Cina nel 1979 e aveva lo scopo dichiarato di assicurare il benessere del popolo cinese, benessere che necessitava di una diminuzione drastica del numero di figli per famiglia.
Per ottenere ciò il governo cinese non si è fatto scrupoli: si è partiti con una propaganda assillante con tutti i mezzi di comunicazione (“Meno figli per una vita felice”) e si è arrivati ad arruolare schiere di giovani medici che, di villaggio in villaggio, hanno portato sterilizzazioni forzate, aborti e infanticidi.
Aborto e infanticidio vennero e vengono tuttora perpetrati, a onor del vero, anche ad opera degli stessi familiari, altrimenti costretti a veder distrutte le loro case; e spesso le vittime sono le figlie femmine.
Di queste cose ne abbiamo forse già sentito parlare; ogni anno, affrontando in matematica il tema dei rapporti e le proporzioni, io mi soffermo con gli alunni di seconda sul rapporto numerico maschi/femmine di età 15-24 anni in Italia, nel Mondo e in Cina. In Italia è 1,00; nel mondo 1,07; in Cina 1,16. Questi numeri decimali, di primo impatto, non dicono nulla. Risultano già più comprensibili esprimendoli in modo diverso: in Italia, nella fascia d’età succitata, si hanno 100 maschi ogni 100 femmine; in Cina ci sono 116 ragazzi ogni 100 ragazze. L’innaturale squilibrio si traduce in tensioni sociali enormi, cui il governo cerca di porre rimedio vietando di conoscere il sesso del nascituro e gli aborti selettivi, ma la cosa non si sta risolvendo.
Ciò che stupisce dal documentario, è come la propaganda e l’imposizione siano riuscite a manipolare la mente della popolazione, al cui interno troviamo pochissime menti lucide che hanno compreso e che condannano la barbarie cui sono stati sottoposti; tra tutti, commovente è la testimonianza di un artista che ha iniziato a rappresentare nelle sue opere le decine di feti abortiti al termine della gravidanza, gettati nelle discariche come rifiuti biologici e quello dell’ostetrica che oggi, per espiare le sue colpe, aiuta le coppie con problemi di fertilità ad avere una gravidanza. Molti però sono gli osservatori che accettano e si nascondono dietro il “non avevamo e non abbiamo scelta, la politica era molto severa ma necessaria”, frase ripetuta tale e quale dagli stessi familiari dell’autrice. Alcuni infine, pochi, si dicono orgogliosi di aver praticato centinaia di migliaia di sterilizzazioni forzate e aborti (raccapricciante l’intervista ad una ginecologa che rideva di come una mamma, per salvare il suo bambino ancora in grembo, fuggiva nuda con il pancione, illudendosi di salvarsi dai soldati che la inseguivano).
Le immagini, ma soprattutto i contenuti, rendono il documentario vietato ai minori; ma credo sia prezioso per noi educatori aprire gli occhi ed informarci su realtà che non sono appartenenti al recente passato, ma al presente: nel 2015 c’è stato un cambio di rotta, dovuto all’evidenza che, con un solo figlio, i giovani sono troppo pochi e non possono farsi carico della grande quantità di anziani. Il governo ha quindi deciso che la felicità si ottiene con due figli: la sostanza non cambia, e neppure la forma!
Miriam Dal Bosco