Leggendo l’intervista ad Alessandro D’Avenia sul suo ultimo romanzo “L’Appello” (riportato anche in questa newsletter), mi sono soffermata a riflettere sul suo richiamo; ormai da mesi la scuola è soggetta ad una rivoluzione e, se nei primi tempi l’attenzione era tutta incentrata sull’avviare la DAD per garantire la continuità nell’emergenza, ora, dopo mesi di consolidamento di questa nuova metodologia,  è forse arrivato il momento di fermarsi e osservare il cambiamento per fare un primo bilancio.

Cosa succede con la DAD? Succede che ci si trova ad “educare senza corpo” (come dice D’Avenia nell’intervista).

Le aule sono piene di assenza, l’assenza dei corpi degli studenti, il contatto fisico è sostituito da uno scambio virtuale a discapito della relazione che è il fondamento di ogni vero insegnamento. 

Se già in aula, in presenza, è difficile instaurare autentiche relazioni di vero scambio tra alunni e insegnanti, ma anche tra i ragazzi stessi; tanto più ora che ogni messaggio è veicolato solo attraverso un schermo, attraverso un passaggio di voci filtrate, ma senza la dimensione fondamentale della fisicità. Il corpo non è, infatti, un’appendice dell’uomo, ma una dimensione fondamentale della sua identità e asse portante della relazione conoscitiva con il mondo. 

Il rischio, insomma, è l’isolamento dell’adolescente, perché un’aula non  è solo il luogo in cui i ragazzi apprendono, ma è soprattutto il luogo in cui fanno esperienza di relazione,  in cui imparano a confrontarsi con l’altro diverso da sé e la relazione umana non può prescindere dell’elemento della fisicità e questo anche, e forse soprattutto, per i nativi digitali.

 La vera sfida quindi che insegnanti e ragazzi sono chiamati ad affrontare in questo momento, è quella di non perdere la voglia di fare esperienza dell’altro, di non dimenticare che, anche se attraverso uno schermo, il dialogo non si deve interrompere; magari sarà più sommesso, meno immediato e meno felicemente chiassoso, ma forse può diventare più essenziale.

Lo sforzo a cui sono chiamati gli insegnanti è quello di trovare nuovi modi, sfruttando gli strumenti a disposizione, per attirare l’interesse dei ragazzi, coinvolgendoli e aiutandoli a mettersi in gioco, ad oltrepassare metaforicamente la barriera dello schermo. 

Come dice D’Avenia è il momento di riscoprire il valore dell’appello, perché ogni ragazzo si senta chiamato in prima persona; molto dipende dalla passione e  dalla competenza dei docenti, magari sperimentando qualche attività nuova per suscitare l’interesse in chi sta al di là del video, facendo riscoprire ai ragazzi nuove forme di interazione, ma soprattutto di relazione, perché anche se per il momento manca la vicinanza fisica, non dobbiamo perdere la voglia di stare in relazione con l’altro, perché solo nel confronto possiamo fare esperienza della nostra unicità. 

Il compito che abbiamo davanti, anche ora, è sempre quello di arrivare, con competenza e creatività, alleandosi con le famiglie, al cuore dello studente, che sia al di qua o al di là di uno schermo, accendendo una relazione viva.

Arriverà poi il momento di “spegnere le webcam” per tornare a riempire le aule di voci e di passi pronti a proseguire il cammino, magari correndo all’ultimo rintocco della campanella.

Francesca Guglielmi