Intervista alla dott.ssa Mariolina Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, lavora in un servizio territoriale di Neuropsichiatria Infantile ed esercita attività privata come psicoterapeuta per adulti e coppie. E’ anche mamma di sei figli.
Credo si possa definire un’osservazione banale per chiunque nella vita abbia fatto l’insegnante o l’educatore, ma anche solo il catechista o l’animatore da adolescente: i maschi e le femmine apprendono in modo diverso! Hanno un modo diverso di stare in aula, di porre domande, di vivere le esperienze.
Oggi, però, si sente parlare di “stereotipi di genere”. Ecco quindi la prima, più difficile, domanda:
Come comunicare la differenza, evidenziando il valore specifico dell’essere maschio e femmina?
La differenza sessuale si gioca su un punto fondamentale: abbiamo un corpo che partecipa in modo diverso alla trasmissione della vita. Come diceva Aristotele: il femminile genera nel proprio corpo, il maschile genera fuori del proprio corpo, nel corpo del femminile. La differenza dei corpi, il fatto di avere il baricentro generativo “dentro” o “fuori”, comporta una percezione profonda di sé molto differente: solo se a questa differenza attribuiamo un significato e un valore potremo assecondare nei ragazzi uno sviluppo identitario coerente con la loro sessualità biologica.
E’ a partire da questa differenza (innegabile e ineliminabile) che prendono infatti origine tutte le altre differenze. Molte delle caratteristiche sulle quali siamo soliti soffermarci e talora anche scherzare sono invece di tipo probabilistico e hanno in gran parte valenza culturale: la capacità di orientamento, la diversa sensibilità, gli aspetti caratteriali ecc. corrispondono spesso a stereotipi che non hanno una reale specificità.
Si può definire il neonato “neutro”, in quanto ancora privo di una caratterizzazione maschile e femminile?
Il bambino che nasce non è “neutro”, perché si presenta, dal punto di vista anatomico e genetico, secondo due declinazioni fondamentali: il sesso maschile e il sesso femminile. A partire da questa differenza prende il via un processo complesso, che conduce poco alla volta a definire un’identità sessuale di uomo o di donna. A questo processo concorrono molti elementi: da un lato la percezione di sé che origina da un corpo differente, ma dall’altro il modo in cui l’ambiente (soprattutto quello più prossimo) si relaziona con il bambino maschio o femmina, e il significato e il valore che attribuisce loro. L’identità umana non si organizza mai nel vuoto: la scoperta della differenza e quella della propria appartenenza a un sesso avvengono nel contesto di una storia, che è sempre storia relazionale (quel bambino, in quel momento, in quella coppia, in quella relazione); ogni storia poi si declina all’interno di uno specifico contesto culturale, che dà un significato e un valore diverso alla differenza e alla specificità sessuale.
Il bambino inizia a “lavorare” intorno al tema della propria identità sessuale intorno ai due anni, quando la stazione eretta e l’educazione al controllo sfinterico comportano un forte investimento degli organi genitali; scopre così che il mondo è diviso in due: chi ha e chi non ha un pene. Scopre di appartenere ad una delle due categorie, e di assomigliare in questo ad uno dei due genitori. Scopre che la differenza serve per fare i bambini. L’essere maschio o femmina inizia già da questo momento a prendere un significato: positivo, negativo, oppure contraddittorio.
In che modo le realtà extra-familiari aiutano il formarsi dell’identità maschile e femminile? È giusto che lo facciano o gli interventi educativi dovrebbero essere imparziali?
Non esiste in nessun caso e in nessun campo una neutralità educativa: chi educa influenza anche se e quando non lo vuole, perché la disparità di età e di esperienza comportano comunque sempre un influenzamento dell’altro. Se anche, paradossalmente, fosse possibile rimanere del tutto imparziali in questo campo, la neutralità stessa sarebbe una forma di condizionamento.
La vera questione, dunque, è casomai quella di capire ed esprimere in modo chiaro in quale direzione pensiamo giusto orientare i nostri figli, secondo quali valori e quale pensiero.Se riteniamo che la differenza sessuale sia una ricchezza e un valore, allora è giusto approfondirne il senso e cercare di orientare i nostri figli verso la differenza.
Gli insegnanti esprimono la loro identità maschile e femminile anche quando insegnano matematica o grammatica o chimica?
Noi tutti siamo uomini o donne: se lo siamo pienamente, con serenità e in pace con la nostra identità, questo si esprime in tutto il nostro modo di essere.
Credo però che per fare questo sia oggi indispensabile approfondire meglio il significato del maschile e del femminile, dare un nome alla loro differenza e alla loro specificità: dobbiamo capirlo in primo luogo in noi stessi, per poterlo poi trasmettere: non possiamo più dare niente per scontato.
Miriam Dal Bosco