Intervista al prof. Paolo Molinari, che sabato 14 novembre 2020, ha tenuto il laboratorio di didattica della storia all’interno del corso “Aiutami a essere felice. Quella luce nei loro occhi”.
Professore, lei ha voluto che il suo laboratorio cominciasse con la lettura di un breve estratto tratto dal suo libro Magellano, che contiene questo passaggio “L’umanità viene durevolmente arricchita soltanto da chi ne accresce la coscienza e la conoscenza creatrice”. Perché?
Perché è esemplificativo di come deve essere insegnata la storia nella scuola, ossia come una narrazione. La storia come disciplina deve, in altre parole, riuscire a trasmettere e proporre un senso ai fatti che si vanno presentando. Sono dell’idea che la storia non sia una scienza oggettiva, di cui le fonti sarebbero i dati puri, anche perché i fatti in sé, come diceva Nietzsche, sono stupidi. Uno dei motivi per cui la storia non appassiona gli studenti è proprio perché non è più una narrazione, ma è ridotta nella prassi didattica comune a un insieme di fatti, di accadimenti; ma il semplice accadere non basta ad interessare. Penso che sarebbe molto meglio mettere lo studente di fronte a più interpretazioni dei fatti del passato tra cui scegliere. Tra i moltissimi esempi, si potrebbe fare quello delle guerre greco-persiane, il cui senso sta nel fatto che esse costituiscono l’inizio della civiltà europea. Un altro esempio è il Codice di Hammurabi, che termina l’elenco delle leggi con questa bellissima e importantissima frase: “…e il mio cuore trova pace”. Insomma, la storia va presentata sì come una serie di eventi e azioni che, però, va accompagnata da un’interpretazione, che abbia come criterio di giudizio, come è scritto nel brano letto all’inizio, ciò che ha accresciuto la coscienza dell’umanità.
Dal punto di vista della storia come interpretazione che conferisce un senso, cosa dice dei manuali di storia?
I manuali oggi sono tutti uguali e, per come sono costruiti, presentano i fatti, anche in abbondanza, ma sono privi di narrazione, vuoti di senso perché senza un’interpretazione, almeno esplicita. Estremizzando un po’ spesso dico che il manuale sta alla storia come l’elenco telefonico sta alla vita. Nell’elenco ci sono i nomi di tutte le persone, ma quello che manca è la vita. Ovviamente quella del manuale di storia è pur sempre una falsa neutralità: c’è sempre qualcuno dietro. Del resto non esiste neutralità, ma, come disse Omero, “nessuno” è sempre il nome di qualcuno. Aggiungo che prima prevaleva l’eredità idealistica, poi quella marxista. Non a caso oggi la storia sui libri di testo è presentata quasi esclusivamente come un movimento di grandi processi sociali, economici, culturali ecc., che sovrastano i singoli, cosa che io non nego del tutto, ma essa dovrebbe essere innanzitutto un viaggio nell’umano. Penso anche che a proposito del manuale di storia ogni insegnante dovrebbe farsi il suo.
Lei, nel suo intervento, ha sottolineato che un altro obiettivo dell’insegnamento della storia è quello di attualizzare il passato. In che senso?
Per attualizzazione del passato intendo che lo studente deve poter paragonare i motivi e gli ideali che hanno mosso le azioni degli uomini e delle donne del passato con ciò che muove al presente la sua vita. L’ipotesi che sottostà a quello che intendo per attualizzazione è che la storia è mossa dalle stesse forze che muovono l’uomo di sempre, anche di un ragazzo di oggi. Da qui il titolo del mio laboratorio: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. Se si fa capire che le esigenze di giustizia, libertà, amore ecc. che hanno guidato gli uomini in passato sono le stesse che lui sente dentro di sé, allora lo studente si può immedesimare e la storia gli apparirà molto più interessante. Certamente le dinamiche storiche rimangono dei tentativi approssimativi di concretizzare queste esigenze. Ma questo, ancora una volta, è possibile solo attraverso una didattica della storia intesa, come dicevo prima, come narrazione.
Un’ultima domanda: perché ha collegato la storia alla costruzione dell’identità?
Perché la storia da sempre in tutte le società (basti pensare alla figura dello sciamano) è identitaria, è alla base dell’identità. La storia più della letteratura forma l’identità. Per sapere chi sei tu, mi devi raccontare la tua storia, questa era la caparra che le vecchie generazioni trasmettevano alle nuove. Questo è un aspetto della storia quanto mai attuale, dal momento che l’uomo senza storia è uomo senza identità; e questo, a mio avviso, è una delle componenti della fragilità dei ragazzi di oggi. Un ragazzo di oggi si concepisce senza passato e per questo si ritrova senza identità. Manca la storia come costruzione della persona. Oggi si vogliono individui senza passato e senza radici, un esempio chiaro delle conseguenze di questa concezione dell’uomo sono i giovani musulmani in Francia che pur essendo di terza generazione, cresciuti in famiglie non praticanti e frequentando le scuole laiche francesi diventano preda dell’ideologia islamista e si mettono a fare i terroristi o i foreign fighters. Per contrastare questa fragilità verso il fanatismo di qualsiasi genere occorre lavorare sull’aspetto culturale, aiutare i ragazzi a comprendere da dove vengono per aiutarli a capire chi sono veramente. L’ideologia, anche quando malata, è sempre risposta ad una esigenza umana ed una delle più profonde è quella di appartenere a qualche cosa di più grande che dia un senso alla vita. Questo lo aveva detto anche Hannah Arendt mostrando come il nazismo sia sorto dalla concezione nichilistica della vita che si era diffusa nel popolo tedesco a causa della terribile sconfitta in guerra e della devastante crisi economica. Non dimentichiamo, inoltre, che la Seconda guerra mondiale non scoppiò per motivi economici, ma ideologico-spirituali.
Alessandro Cortese