Paese: Francia 2021– Durata: 111 minuti – Regia: Sian Heder
Non poco è stato lo stupore per i tre premi Oscar (tra i quali il più importante: quello di miglior film) assegnati lo scorso 28 marzo alla pellicola francese CODA (acronimo di Child Od Deaf Adults, figlio di adulti sordi) I segni del cuore. Stupore perché questo bel film, nella sua semplicità, ha sbaragliato i ben più blasonati concorrenti.
Il film è il rifacimento della pellicola francese del 2014 La famiglia Belier. Una storia molto particolare. Una famiglia di pescatori del Massachussets, i Rossi, è composta di quattro persone: Frank e Jackie, i genitori; Ruby, la sorella maggiore; Leo, il fratello minore. A parte Ruby, gli altri componenti della famiglia sono sordomuti, quindi la ragazza si trova ad essere il loro tramite con il resto del mondo: sente, parla e riesce a comunicare con la lingua dei segni. Questo la rende di fondamentale importanza per la vita stessa di tutti i membri: nel lavoro sul peschereccio come negli altri contesti quotidiani.
Come tutte le adolescenti ha un grande sogno. Sta terminando la scuola e vorrebbe andare al college per coltivare la sua passione: il canto. Divisa tra l’affetto e l’aiuto che può dare alla sua famiglia, la realizzazione di questo suo grande desiderio e un amore che sboccia, Ruby deve fare delle scelte importanti, farle capire alle persone a lei più care che, però, non possono apprezzare il suo grande talento musicale.
Pur con una trama non originale e a tratti scontata, il cast è davvero superlativo: la giovane protagonista Ruby, interpretata da Emilia Jones, il padre Frank (interpretato dall’attore sordomuto Troy Kotsur, che ha visto l’Oscar come miglio attore non protagonista), la madre Jackie (interpretata dall’attrice sordomuta Marlee Matlin) e il fratello Leo (interpretato da Daniel Durant). Affiatati, convincenti e capaci di far sentire il pubblico coinvolto nella storia. Coinvolgimento che, da una parte permette di capire alcune delle difficoltà che le persone disabili possono incontrare quotidianamente, dall’altra fanno quasi sperimentare (per alcuni istanti) questo stesso disagio: la scelta registica, infatti, di far assistere ad alcune scene in assenza di audio mette gli spettatori ancora più nelle condizioni di empatizzare con i protagonisti.
Empatia che permette di percepire la bellezza della famiglia, costruita su un amore ricco di sfaccettature e sfumature (quello coniugale in tutti i suoi diversi aspetti, quello dei genitori per i figli e quello fraterno), un amore che fa da base solida e forza prorompente per affrontare ogni difficoltà.
Il film, facendo i conti con diversi elementi davvero interessanti come la disabilità, la famiglia, amicizie e amori, non è esente da difetti cui fare attenzione se utilizzato in chiave educativa.
In primo luogo, il linguaggio un po’ volgare urta un po’ la sensibilità degli spettatori.
Inoltre, come quasi ogni film francese che si rispetti, non mancano allusioni o discorsi espliciti in ambito sessuale. Se per i due giovani questa dimensione viene vissuta con un po’ di libertà (specchio della situazione attuale), si può sottolineare come dato positivo il fatto che nei genitori tutto questo ambito è espressione fisica di un amore più profondo che fa da collante per la famiglia stessa.
Queste sottolineature rendono consigliabile l’utilizzo della pellicola più con una secondaria di secondo grado che non con una di primo grado.
Don Francesco Marini