Nonostante non sia sempre sulle prime pagine, uno delle vittime illustri di questo periodo di pandemia è sicuramente lo sport. Come è cambiato? Quali ripercussioni potremo vedere nella società, nel breve e lungo periodo? Ne parliamo con il prof. Luca Gallizioli, docente di educazione fisica ed allenatore di calcio.
Professor Gallizioli, lei insegna da diversi anni educazione fisica alla scuola primaria e secondaria di primo grado. Essendo una materia quasi esclusivamente pratica, è stata forse la più penalizzata da questo periodo di pandemia.
Ci sono state delle difficoltà nel progettare un piano che permettesse di fare attività, pur rispettando le regole imposte dall’emergenza sanitaria? Se sì, quali sono state? E, allo stesso tempo, avete visto anche dei lati positivi o dei risvolti “inaspettati”?
L’educazione fisica purtroppo ha risentito enormemente di questa situazione legata alla pandemia proprio perché colpita all’essenza della sua natura: lo sport è socializzazione, aggregazione ma anche sfida. L’inizio non è stato facile e la programmazione didattica ha visto numerose revisioni e modifiche; la difficoltà maggiore è stata relativa alla poca chiarezza in merito alle restrizioni e a ciò che era possibile fare (banalmente anche ai luoghi che si potevano usare). Il mese di novembre ha visto addirittura la sospensione di ogni tipo di attività pratica curricolare. Quindi se dovessi pensare alla prima difficoltà direi proprio la mancanza di un protocollo chiaro ed esauriente che permettesse una programmazione sicura: si procedeva giorno per giorno, o meglio, dpcm per dpcm. L’altra difficoltà, che però ha causato meno problemi, è stata quella legata alle norme igieniche e di sanificazione. Su questo tema un grande contributo è arrivato dagli alunni che si sono fatti trovare pronti al rispetto delle regole e comprensivi delle norme da attuare.
Tornando alla didattica, queste limitazioni, hanno però dato la possibilità di affrontare in maniera più approfondita e accurata alcuni argomenti. Il dover lavorare in forma individuale ha permesso di potenziare e migliorare alcuni aspetti tecnici fondamentali che stanno alla base di tutti gli sport individuali, ma soprattutto di squadra: dal tiro al passaggio, dal palleggio alla conduzione. Il tutto strutturando lezioni che riuscissero a coinvolgere tutti i componenti della classe e per di più potendoli suddividere in livelli di apprendimento; potendo così personalizzare l’esercizio e soprattutto la difficoltà della richiesta sulle capacità oggettive di ogni singolo alunno. Una sorta di personal training.
Possiamo dire senza paura di essere smentiti che questo ultimo anno non è stato il più semplice per lo sport. Palestre, piscine e centri sportivi in generale sono stati i primi a chiudere e saranno gli ultimi a riaprire, con conseguenze pesanti sulle Società, sui collaboratori sportivi, ma soprattutto su chi frequenta questi luoghi.
Cercando di sopperire a queste mancanze, abbiamo visto fiorire le lezioni on-line, le app di fitness e altri “escamotage” che permettessero di fare attività rispettando le regole del periodo.
Anche molte società sportive, pur di garantire l’attività per i propri iscritti, hanno rivoluzionato le strutture e modificato le modalità di lavoro. È sicuramente il caso degli sport di squadra all’aperto, come ad esempio il calcio.
Parliamo quindi al “Mister”: come è cambiato il modo di allenare in questo ultimo anno? Per un giovane calciatore, questo può influire sulla sua crescita calcistica?
Possiamo dire che è stato letteralmente stravolto ma allo stesso tempo ha permesso di mettere in evidenza alcune realtà. Stravolto soprattutto per la concezione che si ha del gioco del calcio come gioco di squadra, come sfida e duello, come compagni e avversari, come vittoria e sconfitta. Da questo punto di vista allora sì che è stato stravolto: tutto questo non c’è più. Si è perso il contesto in cui il giovane calciatore formava il suo aspetto caratteriale: il coraggio, il “furore agonistico”, l’istinto, il pensiero creativo e l’iniziativa personale. Sembra impossibile ma tutto questo lo troviamo solamente nel momento del duello, nell’1vs1..e questo difficilmente lo puoi ricreare con un allenamento in forma individuale.
Dall’altra parte ha preso campo però la ricerca del perfezionamento della tecnica, (spingendosi in alcuni casi al limite di rendere il calcio uno sport per acrobati e giocolieri), la ricerca di metodi nuovi per allenare e la creatività di proporre attività che stimolino l’interesse e il divertimento dei ragazzi; il tutto per farli sentire ancora Protagonisti di questo gioco.
Se può influire nella crescita calcistica del giovane calciatore? Certamente sì. Oltre a tutto il discorso legato alla salute fisica e al benessere della persona, quest’anno di stop e sport adattato ha e avrà di sicuro le sue ripercussioni in un futuro non troppo lontano. Il rischio maggiore è il verificarsi del fenomeno del dropout, l’abbandono precoce dello sport: snaturare uno sport rischia di affievolire l’interesse in chi lo pratica e questo porta molto spesso alla scelta di abbandonarlo, proprio perché non è più quello di cui mi sono appassionato. E non meravigliamoci se poi l’interesse passa ai videogiochi o ai pc.
Un altro grande rischio è il non-confronto: si cresce solamente nel momento in cui ci si confronta con qualcuno. Solo nella situazione ho la possibilità di mettere in pratica quanto ho imparato. Siamo tutti capaci di camminare su un’asse di legno appoggiata sul pavimento, ma se la situazione cambiasse? Se quell’asse si trovasse a 10mt di altezza, sarebbe la stessa cosa? Idealmente si, lo schema motorio richiesto sarebbe identico ma è proprio il contesto che lo rende diverso. Anche l’aspetto emotivo legato al contesto (paura, rabbia, timore) va allenato..e va allenato con la pratica.
L’altro rischio è che il calcio giocato si sia fermato ma il regolamento no. Mi spiego meglio. Quello che si sta vedendo è che il calcio giocato, le competizioni, i tornei stanno vivendo un prolungato stop che ormai va avanti da più di un anno, ma la cosa che non cambia è la programmazione del settore giovanile. Da pulcini ad esordienti, da esordienti a giovanissimi, da un campo a 7 a uno 9 e poi a 11. Ovviamente prima o poi bisogna arrivare sempre a giocare in un campo grande 11vs11, ma quello che si sta perdendo è la giusta gradualità nei vari passaggi. La mancanza di poter consolidare quanto appreso anche in riferimento allo spazio e al tempo.
La scienza ci insegna che “lo sport è salute”, ma sembra che spesso questo non venga percepito e si colleghi l’attività motoria e sportiva soltanto alla volontà di assicurarsi un fisico tonico per la prova costume o all’aggregazione senza controllo in sala pesi o negli spogliatoi. Per questa concezione, forse, troviamo molti impianti chiusi e, a lungo andare, questo potrebbe avere delle conseguenze negative, soprattutto nelle categorie più fragili, come gli anziani, che trovano benefici psico fisici notevoli nell’attività motoria, e i ragazzi, ai quali viene tolto un aiuto fondamentale per una crescita sana.
Quali ripercussioni potrebbe avere questo periodo, che per molti è stato uno stop completo delle attività, nello sviluppo degli adolescenti, ma anche dei più piccoli?
Lo sport migliora l’attenzione e il funzionamento cognitivo. È un modo per stare meglio dal punto di vista fisico ma anche mentale. Insegna a stare con gli altro e a gestire le emozioni. Ma questa pandemia ha tolto ai ragazzi quest’occasione di crescita.
Bambini e ragazzi hanno bisogno di attività di movimento per la loro crescita fisica e psichica, l’interruzione quindi degli sport che stavano praticando ha modificato i loro ritmi quotidiani di vita, l’umore, il sonno, l’alimentazione. Quelli poi che si stavano allenando in vista di gare o tornei, hanno visto sfumare appuntamenti e scadenze importanti ben sapendo che non sempre è possibile recuperare. L’attività sportiva aiuta a rimanere nel momento presente, a entrare in empatia con i compagni di squadra e a fare squadra. Lo sport, inoltre, insegna a rispettare l’altro, insegna la disciplina e imparare il gioco di squadra è fondamentale perché crea il senso di comunità.
Guardiamo il lato positivo. Lei crede che gli stadi vuoti, i mondiali di sci senza pubblico, oltre a tutte le chiusure di cui abbiamo parlato prima, possano sensibilizzare le istituzioni sull’importanza dell’attività sportiva e su quanto la salute delle persone ne possa beneficiare?
Purtroppo, credo che le istituzioni non si rendano ancora conto delle grandi potenzialità e benefici che l’attività sportiva ha e che può dare alla comunità nei vari settori: educativo, economico, della salute e del benessere. Basti pensare alla mancata nomina di un ministro dello sport o ai provvedimenti che vengono presi nelle altre nazioni per l’attività fisica nelle scuole (notizia di qualche giorno fa il Ministro dell’istruzione cinese con un provvedimento chiede di adeguare i piani didattici e di porre attenzione all’educazione fisica proponendo almeno un’ora di attività fisica al giorno nelle scuole). Gli stadi vuoti e i mondiali di sci senza pubblico purtroppo penalizzano solamente le società o tutte quelle attività che fanno da contorno a questi eventi sportivi mettendo per lo più in risalto l’aspetto economico che mobilità lo sport ma non abbastanza per sensibilizzare gli aspetti della salute e del benessere di chi lo pratica.
Elena Dal Pan