A partire dal famoso testo di Monod, Il caso e la necessità, l’autore riflette sul concetto di teleonomia, sostenendo che in natura non ci sono solo nessi di causalità e adattamento, ma anche un progetto per raggiungere uno scopo. Questo aprirebbe la strada anche all’idea che tutta la natura sia frutto di un disegno.
Se il finalismo nella biologia è palese, la sua fonte non lo è.
(Jacques Monod, Il caso e la necessità, 1970)
Il saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea scritto dal Premio Nobel per la medicina Jacques Monod nel 1970, “Il Caso e la Necessità”, rimane una pietra miliare nel nostro dibattito sulla natura della vita, sulla sua complessità e sulla sua origine. Monod sviscera il tema con grande competenza sia filosofica che scientifica. Particolarmente lucido ed assertivo risulta il filo rosso che unisce tutte le pagine e tutti i capitoli trattati: “il carattere teleonomico degli esseri viventi, per cui nelle loro strutture e prestazioni essi realizzano e perseguono un progetto”.
La grande sfida per la riflessione filosofica sulla natura della vita è dunque costituita dalla teleonomia degli esseri viventi: il libro la affronta, la analizza e la rilancia di continuo, cogliendola da prospettive sempre diverse e muovendosi prevalentemente nel ricco e moderno ambito della biologia molecolare, quella che oggi è diventata pane quotidiano dei nostri giornali e delle nostre chiacchiere da bar (i vaccini anti-COVID a RNA messaggero).
L’ interrogativo fondamentale, cui si vuole rispondere è questo: “la teleonomia è reale o è solo apparente?”, ovvero: “è frutto di una scelta o è l’unica possibilità?”
Prima di giungere alla risposta procediamo per gradi.
Prima di tutto definiamo la teleonomia (parola greca che significa: organizzazione finalistica) attraverso un esempio. “Se si ammette che l’esistenza e la struttura della macchina fotografica realizzano il progetto di captare immagini, si deve anche necessariamente ammettere che un progetto simile si attua nella comparsa dell’occhio di un vertebrato. … Lenti, diaframma, otturatore, pigmenti fotosensibili: le stesse componenti non possono essere state predisposte, nei due oggetti, che per fornire prestazioni simili”. “ È impossibile concepire un esperimento in grado di provare la non esistenza di un progetto, di uno scopo perseguito, in un punto qualsiasi della Natura”. Con tale affermazione categorica si cancella qualunque dubbio che il lettore o il ricercatore possa avere: il progetto c’è!
Si può e anzi si deve dunque parlare di progetti nelle forme di vita, senza il pudore che spesso noi insegnanti proviamo quando parliamo con gli studenti: l’occhio, dunque, serve per vedere, il cuore serve come pompa per spingere il sangue in tutti i distretti cellulari, le ali sono strutture disegnate per consentire il volo, l’utero è fatto apposta per accogliere l’embrione, ecc.
Sulla stessa linea, trentacinque anni dopo, il Cardinale di Vienna nonché allievo di Ratzinger, Christoph Schonborn si esprime pubblicando sul prestigioso New York Times, il 7 luglio del 2005, un articolo dal titolo “Finding design in Nature” (Cercare un progetto nella Natura), in cui accusa “di ideologia ogni scuola di pensiero scientifico che voglia escludere l’idea di progetto in natura.” L’accusa è pesante ed è ancor oggi mal digerita dagli scienziati di tutto il Mondo. L’articolo, infatti, ebbe una vasta risonanza mediatica, risvegliando le menti di filosofi e scienziati anestetizzate da decenni dalle idee dominanti di “casualità” e di “adattamento”, quelle stesse che troviamo ancora oggi in tutte le narrazioni dei nostri testi scientifici scolastici ed accademici.
Qual è dunque il problema se Monod prima e Schonborn poi, da prospettive filosofiche opposte, parlano di “disegno” in Natura come un’evidenza, che addirittura non si può smentire in modo sperimentale? La problematicità esplode nel momento in cui si vuole indicare la fonte di questi progetti, che non può assolutamente essere metafisica, per la scienza, in virtù del “postulato dell’oggettività della Natura, vale a dire il rifiuto sistematico a considerare qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di progetto”. Detto in modo diverso: i progetti ci sono, in natura, negli organi degli esseri viventi e nella loro organizzazione a più livelli, ma non possono essere spiegati con un Progetto più grande che li unifica e li trascende tutti.
Come si spiegano allora i progetti, che abbiamo visto essere palesi? Monod ritiene che i progetti dipendano solo dalla selezione che farà l’ambiente in base a quello che gli ritornerà maggiormente efficace (mi permetto il punto di domanda). A tale conclusione Monod arriva osservando la assoluta gratuità delle interazioni strutturali nella biologia, ovvero il fatto che tra i pezzi che compongono il progetto non esiste alcuna complementarietà sterica. Il progetto, in altre parole, non è prevedibile a partire dai suoi singoli pezzi anatomici; per esempio tra la retina, il cristallino, la cornea e il nervo ottico non esiste alcun vincolo fisico per cui devono organizzarsi proprio in quella modalità che conosciamo all’interno dell’occhio. Tra le molteplici possibili combinazioni, quella che vede la sequenza cornea-cristallino-retina-nervo ottico è stata premiata dall’ambiente perché funziona. La gratuità è presente anche a livello molecolare e consiste anche qui nell’indipendenza chimica tra la natura molecolare del segnale e la funzione stessa che vuole realizzare.
L’esempio più famoso è dato dal codice genetico, scoperto nel 1966, che mette in relazione le lettere del DNA con gli amminoacidi che devono essere uniti nel citoplasma per formare una proteina. Ecco l’incredibile gratuità del legame nel codice genetico: non esiste alcuna relazione chimica tra la tripletta di nucleotidi e il suo significato, ovvero l’amminoacido specificato: la parola UUU significa la fenilalanina, come è stato scoperto sperimentalmente, ma per pura convenzione, non per complementarietà tridimensionale o per affinità chimica.
Un altro esempio si può ricavare dal mondo degli ormoni. L’insulina è l’ormone prodotto dalle cellule beta delle isole del Langherhans del pancreas ed ha come bersaglio il glucosio del sangue: lo spinge all’interno delle membrane cellulari, abbassando così la glicemia. Bene: la relazione tra la molecola di insulina e il suo significato, ovvero la molecola di glucosio, è assolutamente gratuita: osservando la natura della prima non si può prevedere nulla della sua funzione.
Allora, ecco la conclusione di Monod: se i codici della vita sono gratuiti, significa che “tutto è possibile, perché nulla è predeterminato”: quando si formano le strutture vitali, la completa libertà di scelta tra le infinite opzioni costringe di fatto la natura ad escludere tutte quelle possibilità che non funzionano. Si affermerà solo quella possibilità che “obbedisce meglio ai soli vincoli fisiologici, grazie ai quali tutto verrà selezionato secondo la maggior coerenza ed efficacia che conferirà alla cellula o all’organismo”.
Qual è allora la fonte della teleonomia, per la Biologia evoluzionistica? L’ambiente. Proviamo a riflettere su queste conclusioni di Monod. Ci troviamo di fronte ad un paradosso epistemologico: il riconoscimento esplicito e scientifico della teleonomia come la cifra della vita non porta alla classica conclusione metafisica (esiste un Progettatore esterno che ne è il fondamento) che ha nutrito interi millenni di umanità, ma al suo contrario: “l’antica alleanza è infranta: l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo.” (conclusione del libro).
Insomma, l’ambiente, secondo Monod e secondo tutta la Biologia accademica di oggi, ha proprietà morfogenetiche che né la chimica, né la fisica, né la biologia, gli attribuiscono. Ratzinger scrisse che l’ambiente della teoria evoluzionistica ha le stesse proprietà che noi attribuiamo a Dio.
Che cosa c’entrano la temperatura ambientale, la pressione, la concentrazione iniziale, gli atomi di partenza, con la perfezione delle strutture degli esseri viventi e cioè le proteine, le membrane cellulari, i tessuti, gli organi, gli apparati, il naso, la bocca, gli occhi, lo sguardo stupito di chi ha appena letto il libro di Monod? Come si spiega cioè il miracolo dell’uomo con l’ambiente? Non è la vita eccedente rispetto ai suoi ingredienti? La cellula uovo, sferica e indifferenziata, in pochi giorni si struttura lungo tre assi, assume una forma allungata con una cavità interna che diventerà l’intestino, cresce e si differenzia formando un bambino completo di tutto, già dopo quattro settimane, che la mamma dorma o vegli. Il capolavoro che si forma dentro l’utero della mamma è assolutamente eccedente rispetto a ciò che accade nell’ambiente intorno ad esso.
Per arrivare ad una qualche conclusione, credo che Aristotele avesse ragione quando, ancora nel IV secolo avanti Cristo, aveva intuito che le cause finali sono il motore di ogni movimento. Vale anche per noi, nel nostro agire quotidiano: ci muoviamo solo per uno scopo.
La verità è che le cellule del nostro corpo si comportano “come se” fossero consapevoli di quello che devono fare in ogni istante per realizzare il progetto della vita e della sua perpetuazione. Questo progetto è l’attrattore di ogni movimento all’interno del vivente e sembra essere assolutamente autonomo rispetto all’ambiente, perché fatto di una pasta diversa.
Prof. Umberto Fasol
*Umberto Fasol – Docente di scienze naturali in un Liceo di Verona, di cui è preside, esperto di evoluzione, morfogenesi, cosmologia e bioetica, collabora con la rivista “Emmeciquadro”, “Nuova Secondaria” e con “Il Timone”; nel 1984 ha pubblicato sulla Rivista internazionale di Biologia “Meccanismi epigenetici nella morfogenesi dei vertebrati”, nel 2007 il libro “La creazione della vita” (Fede e Cultura), nel 2010 i libri “La vita una meraviglia” (Fede e Cultura) e “Evoluzione o Complessità? La nuova sfida della scienza moderna” (Fede e Cultura).*Umberto Fasol – Docente di scienze naturali in un Liceo di Verona, di cui è preside, esperto di evoluzione, morfogenesi, cosmologia e bioetica, collabora con la rivista “Emmeciquadro”, “Nuova Secondaria” e con “Il Timone”; nel 1984 ha pubblicato sulla Rivista internazionale di Biologia “Meccanismi epigenetici nella morfogenesi dei vertebrati”, nel 2007 il libro “La creazione della vita” (Fede e Cultura), nel 2010 i libri “La vita una meraviglia” (Fede e Cultura) e “Evoluzione o Complessità? La nuova sfida della scienza moderna” (Fede e Cultura).