Una seria riflessione sulla didattica della storia non può prescindere da una più profonda analisi dell’utilità della storia come disciplina scolastica.

Nelle mie prime lezioni di storia in una nuova classe ho sempre posto agli studenti questa domanda: «A cosa serve secondo voi la storia?». Non nasconderò che la maggioranza rispondeva con un semplice «niente» e, sarò sincero, una parte di me si trova in accordo. In un’epoca segnata dalla “dittatura della tecnica” e da un insegnamento ultra-specializzante, basato spesso su progetti fine a sé stessi, materie come la storia sembrerebbero inutili. Quale senso ha, in effetti, investire due o addirittura tre ore alla settimana per studiare eventi, date, nomi, luoghi legati a un passato più o meno remoto ma apparentemente slegato dalle esigenze del presente? Nessun senso, potremmo dire.

Altri studenti rispondono che la storia è “maestra di vita”: in altre parole, «si studia la storia per conoscere gli errori del passato e per evitare di commetterli nuovamente». Forse sarò brutale, ma questo approccio rende ancora più noioso lo studio della storia. Mi spiego meglio: molti dei nostri giudizi sulle scelte compiute nel passato, oltre ad essere anacronistici perché totalmente decontestualizzati, ci fanno credere di essere “migliori” del nostro passato. «Siamo davvero tanto sicuri di noi stessi e del nostro tempo da separare, nella folla dei nostri padri, i giusti dai dannati?», si chiedeva magistralmente Marc Bloch, il padre degli studi storici moderni.

Troppo frequentemente infatti, e io ho subito da studente questa esperienza, l’insegnante di turno ha piegato la narrazione storica a una riflessione faziosa e ideologizzata, contrassegnata da un moralismo feroce. Non ci si può lamentare del disinteresse degli studenti se la lezione di storia si trasforma in un’aula di tribunale o, ancora peggio, in una tribuna elettorale.

Sembra una contraddizione ma solo adottando un atteggiamento non-giudizioso, e quindi comprensivo, nei confronti del passato possiamo rendere il passato stesso appassionante e avvincente. Se nella nostra didattica riusciremo a lasciare fuori dalla porta la “mania del giudizio” la storia diventerà viva perché scopriremo che chi ci ha preceduto, seppur in situazioni sociali ed economiche diverse, non era tanto diverso da noi. Non sto quindi affermando che si possa insegnare la storia in maniera totalmente oggettiva, ogni insegnante infatti è figlio di un’epoca o comunque portatore di una determinata visione del mondo e quindi del passato. La storia non è un libro già scritto da ripetere annualmente.

Ho sempre pensato che la lezione di storia non debba essere tanto diversa da uno studio di anatomia: seppur con strumenti diversi, tra le pieghe della storia l’insegnante dovrebbe far emergere gli uomini e le donne in carne e ossa, con i loro sentimenti e le loro speranze. In questo senso ogni scelta del passato, che secondo la nostra lettura contemporanea potrebbe sembrare irrazionale, assume un significato perché dietro ad essa si cela la vita di un essere umano. Per spiegare meglio la necessità della riscoperta di questo lato umanistico della storia, farò un esempio forse drastico, nella speranza di non urtare la sensibilità di qualcuno: è scorretto affermare a priori che Hitler fosse un pazzo; è necessario invece riflettere e comprendere perché quasi 20 milioni di tedeschi nel 1933 decisero di votare il partito nazionalsocialista. La differenza è sostanziale, nel metodo di insegnamento e nei risultati attesi. La scelta si riassume in due parole: giudicare o comprendere. Vorrei precisare che non sto affermando che l’atto di giudicare sia in sé negativo, poiché nella nostra quotidianità siamo costantemente chiamati a giudicare e scegliere una posizione. Sono convinto tuttavia che l’astensione da facili giudizi non solo accenda nello studente il desiderio di comprendere più approfonditamente il proprio passato, ma lo possa aiutare anche a porsi le giuste domande e, soprattutto, a non accontentarsi di risposte semplici e banali, magari imposte dall’alto.

Insegnare a porsi le giuste domande, questo è il grande obiettivo dell’insegnamento della storia a scuola, a qualsiasi ordine e grado. In questo senso, la storia diventa uno strumento utilissimo per lo studente al fine di affinare quelle abilità che potrà poi spendere nella sua vita professionale e nella società civile.

Stefano Sasso

Stefano Sasso è il curatore di un podcast di storia “History on Air – Scuola di storia” presente su Spotify