Dino Buzzati, oltre che per i celebri Il deserto dei Tartari, ma anche Bàrnabo delle montagne, Il segreto dei Bosco Vecchio, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Un amore…, è noto, soprattutto, come autore di tantissimi racconti, la maggior parte dei quali confluiti nelle raccolte I sette messaggeri (1942), Paura alla Scala (1949), Il crollo della Baliverna (1954), Sessanta racconti (1958), Il colombre (1966), La boutique del mistero (1968), Le notti difficili (1971).
Molti dei suoi racconti traggono spunto da fatti di cronaca. La tipica costruzione del racconto buzzatiano ha un incipit cronachistico: nome, cognome, professione, età del personaggio. Poi lo ‘straordinario’, l’insolito si sviluppano a partire da un’ambientazione quotidiana. Da ricordare tra i tanti “Sette piani”, “Qualcosa era successo”, “Eppure battono alla porta”, “La frana”, “Direttissimo” … L’iniziale ancoraggio al piano del reale dà modo a Buzzati di passare poi a un altro piano, parallelo e ancora più profondamente reale, perché riguarda il destino dell’uomo, la sua finitezza, le sue miserie (“All’idrogeno”); le sue chiusure (“Il corridoio del grande albergo”). Uno dei più importanti è “Il borghese stregato” («Giuseppe Gaspari, commerciante in cereali, di 44 anni, arrivò un giorno d’estate al paese di montagna dove sua moglie e le bambine erano in villeggiatura…».
Importa notare che, anche laddove l’impianto è favolistico, ad esempio ne “L’uccisione del drago”, il racconto parte da un piano apparentemente plausibile, supportato da elementi a suffragare il fatto, ma vira poi all’allegorico-moralistico (da leggere ad esempio “I reziarii”). Quasi sempre i racconti di Buzzati hanno un intento di moralità: denunciano la crudeltà degli uomini nei confronti di altri uomini, come ne “I vecchi”, “Una cosa che comincia per elle”, “Non aspettavano altro”; o degli uomini sugli animali, ad esempio ne “L’uccisione del drago”, “Vecchio facocero”; o l’ipocrisia degli uomini in generale, come ne “Il cane che ha visto Dio”; dei medici, in “Sette piani”; o dei giornalisti, ne “La frana”; la denuncia della menzogna, come ne ”Il sacrilegio”. Buzzati mette in risalto la non comunicazione per l’incapacità di ascolto; la superficialità; l’egoismo (si legga, ad esempio, “Qualcosa era successo”); il non accorgersi del male, come in “Spaventosa vendetta di un animale domestico”. Emblematico è anche “Il crollo della Baliverna”: se in realtà una causa minima produce grandi effetti, nella giustizia avviene il contrario, poiché una terribile strage non produce alcun effetto: nessuno è o si sente veramente colpevole. Il crollo è il simbolo di un crollo di certezze, quelle di poter prevedere e governare la realtà.
Il punto è che Buzzati indica sempre vie altre rispetto allo sguardo unico e acquietante di chi si accontenta di aver visto tutto, nitidamente, una volta per tutte. Vuole depistarci da una lettura lineare e logica del racconto (come in “Una goccia”), mira a non lasciarci nell’illusoria ‘spiegazione’ univoca del mondo. Certo, servono a rendere alcuni suoi racconti assurdi, ma lui non vuole dirci che il mondo è assurdo, bensì allertarci, farci sospettare che ci sia un di più di significato, vuole coinvolgerci nel suo inquieto e vivissimo interrogare il mistero. Ad esempio, nel racconto “Notte d’inverno a Filadelfia” ricostruisce un accaduto da una prospettiva che mai si saprà; in “Dolce notte” ci introduce in un modo parallelo la cui prospettiva ci sfugge.
In alcuni racconti Buzzati fa rientrare il capovolgimento delle situazioni ricorrendo all’ironia e al paradosso. Attraverso descrizioni esasperate di situazioni all’estremo del verosimile, ci fa vedere come realmente siamo. Perciò egli elabora immagini fantastiche che ci portano apparentemente al di fuori della realtà, ma in sostanza ancora più nel cuore della realtà.
Vediamo come nell’ironia di Buzzati non c’è cattiveria, semmai pietà, nostalgia di bontà, perché lui sa bene quanto complesso è l’uomo. Ecco perché il suo pessimismo sfocia a volte nell’umorismo, perché così ci permette di sorridere di fronte a un «divertente e curiosissimo fenomeno: la vita». A volte, insomma, ci ‘sorride su’.
Pungente ironia si legge nel racconto “La creazione”. In questo caso il capovolgimento consiste nel soprannaturale calato nel quotidiano. Racconta dell’opera di un Creatore, simile a un direttore d’azienda d’altri tempi, di quelli che hanno sempre tutto ‘sotto controllo’, ma il quale forse per pigrizia o compiacenza, accoglie il suggerimento di un angelo (un collaboratore del direttore?) a tal punto seccatore da convincerlo ad inserire un nuovo elemento nella sua opera armonica e bella.
Un esempio di ironia amara e di alternati punti di vista si trova ne “Il corridoio del grande albergo”. Forse Buzzati ci sta dicendo che siamo tutti ipocriti, e/o più simili di quanto non crediamo: qui l’ipocrisia è esemplificata dal senso del pudore, ma potrebbe essere riferibile ad altro: all’ipocrisia in generale, al nostro crederci “speciali”, unici e perfetti, immuni dalle ‘zozzure’ ecc., ma anche diffidenti, pronti a vedere nemici ovunque, e a difenderci dagli altri al punto di cadere nel ridicolo.
Ne “Il cane che ha visto Dio” si legge un esempio di ironia bonaria, anche se sottile: il capovolgimento della narrazione sta nel finale, perché è sostenuta dalla suspense, per cui è bene svelarlo soltanto con la lettura per intero del lungo racconto.
Se le situazioni sono ancora più decisamente portate all’estremo del verosimile si parla di paradosso (affermazione sorprendente o incredibile proprio perché contraria alla verosimiglianza). Ma attenzione, mai il paradosso coincide in Buzzati con l’assurdo.
Si veda l’esempio di “Cacciatore di vecchi”, sul quale scrive l’autore stesso: «Le cose che ho cercato di esprimere (anche se apparentemente si presentano al contrario della realtà) non sono affatto assurde». Afferma ancora Buzzati: «Questi giovani che vanno di notte a caccia di vecchi e che non si accorgono che nel giro di una notte diventano vecchi anche loro. La mattina sentono l’urlo delle generazioni nuove che arrivano per farli fuori […] questo non è assurdo. È un concetto dilatato o compresso al massimo per cavarne fuori il significato massimo».
Infine, due esempi di deliziosa ironia tipicamente buzzatiana.
In “Invenzioni”: qui l’ironia è tutta rivolta alla società degli anni Sessanta: sulla medicina, sul modo dell’Arte, sulle moderne tecnologie: sono tutti tipici motivi buzzatiani in cui lui l’autore fa rientrare la sua capacità di capovolgimento delle situazioni.
Ne “Il lasciapassare”, infine, Buzzati fa lo sberleffo a chi vuole incasellare, etichettare, classificare… perfino l’Arte.
L’Associazione Internazionale Dino Buzzati
L’Associazione Internazionale Dino Buzzati è stata costituita il 19 dicembre 1988 a Feltre, dove ha la sua sede legale, e conta soci sparsi nei cinque continenti, nonché un bureau francese a Bordeaux. Ha lo scopo di promuovere e coordinare ogni iniziativa che possa contribuire allo studio e alla diffusione dell’opera di Dino Buzzati. La sua attività è orientata verso tre obiettivi principali: 1) ricerca e approfondimento critico ad alto livello; 2) raccolta e catalogazione di materiali bibliografici e documentari; 3) divulgazione. Tali obiettivi vengono realizzati mediante l’organizzazione di convegni, mostre, spettacoli, conferenze, concorsi per studenti e studiosi, assegnazione di borse di studio, nonché attraverso la realizzazione di pubblicazioni e la consulenza prestata ad altri enti e associazioni che promuovano iniziative di interesse buzzatiano. Organo scientifico dell’Associazione, con il compito di curare tutti gli aspetti dell’attività che riguardano la ricerca, la catalogazione del materiale librario, documentario e audiovisivo e la consulenza bibliografica, è il Centro Studi Buzzati, che ha sede a Feltre e assegna ogni anno borse di ricerca a laureati meritevoli.
Patrizia Dalla Rosa