Paese: Stati Uniti 1996 – Durata 109 minuti – Regia: Al Pacino
Metà film, metà documentario, Riccardo III – Un uomo, un re (titolo originale Looking for Richard) è anche e soprattutto un omaggio di Al Pacino al teatro e in particolare a Shakespeare.
Egli, che è sia regista che protagonista, con attori amici simula una compagnia che deve mettere in scena il Riccardo III offrendo allo spettatore il resoconto delle prove sia in abiti normali sia in costume alternate a discussioni accalorate sul modo giusto di recitare i testi del grande drammaturgo (compreso un divertente accenno al pentametro giambico, il verso usato nella grande poesia inglese). Arricchiscono il tutto interviste a celebri interpreti shakesperiani e a studiosi universitari come pure visite ai luoghi significativi come la casa natale del bardo o al sito londinese dove sorgeva il Globe Theater.
Come ammette lo stesso regista, il suo sogno è trasmettere agli altri i sentimenti di Shakespeare, nonostante che il linguaggio usato, e le stesse trame dei testi, appaiano alla persona comune lontano e complicati, come emerge da alcune delle risposte date da passanti intervistati. Ma non tutte le persone comuni fermate per strada trovano Shakespeare noioso: la giusta grandezza del suo teatro viene colta da chi dice che “più che aiutare, Shakespeare istruisce”; oppure che egli “dà sentimenti”, e per questo “andrebbe insegnato nelle scuole”. Un altro ancora dice che “quando si sente quello che si dice”, le parole usate, anche se desuete, “hanno un significato più forte”, quasi a replicare a chi trova il linguaggio del bardo inglese irrimediabilmente distante e superato.
La passione di Pacino per l’opera Riccardo III, oltre alla sua indiscutibile bravura, è tale che a mano a mano che passa il tempo si riesce a entrare nella psicologia perversa e luciferina del personaggio oltre a conoscere l’ambientazione storica della tragedia. Figura realmente esistita, egli visse durante la Guerra delle due rose tra York e Lancaster. Riccardo, duca di Gloucester e fratello del re Edoardo malato e prossimo alla morte, è roso dall’ambizione di succedergli, anche a motivo della frustrazione patita a causa di una deformità fisica. Privo di scrupoli pur di conquistare il potere, tesse una fitta trama di congiure per eliminare i possibili rivali alla successione al trono. Ma la storia termina con la sua sconfitta per opera di Enrico Tudor, che lo ucciderà sul campo di battaglia di Bosworth Field ponendo così fine alla guerra civile che per trent’anni aveva insanguinato l’Inghilterra.
È al termine della storia che si trova la battuta più celebre del dramma, quando il re si trova appiedato, incapace quindi di allontanarsi dalla morte certa per mano dei nemici, e con un grido disperato esclama: “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!”.In conclusione, la scommessa di fondo di Looking for Richard è quella di dimostrare che la grandezza di Shakespeare (ma la cosa si potrebbe dire di ogni classico del teatro) oggi e sempre sta nell’insegnarci a conoscere l’animo umano nelle sue pieghe più intime, non con un discorso astratto, ma attraverso i sentimenti che la voce e il corpo degli attori sanno suscitare: pathei mathos, cioè “imparare attraverso la passione”, avrebbe detto il grande tragediografo greco Eschilo. E del resto è lo stesso Pacino ad avere detto che “Io credo che si reciti solo nella vita, mentre nell’arte si persegue solo la verità”.
Alessandro Cortese