Paese: Francia – Durata: 97 minuti – Regia: Christophe Barratier
Recensione
Un gruppo di ragazzi vivaci, un direttore autoritario e un insegnante premuroso: sono questi gli ingredienti di Les Choristes, pellicola del 2004 di Christophe Barratier, che racconta di quanto una relazione di qualità e davvero umana aiuti gli alunni a scoprire la bellezza della vita.
Siamo alla fine degli anni Quaranta in Francia, all’interno di un collegio per bambini orfani di guerra, in cui la punizione e l’intolleranza degli adulti regnano sovrani, fino a quando viene assunto in qualità di sorvegliante Mathieu (Gérard Jugnot), ex compositore di musica rimasto disoccupato.
In una delle scene iniziali il professore entra nel dormitorio dei ragazzi e al suo passare tra i letti tutti si posizionano sull’attenti e immobili, solo un bambino non si accorge della presenza del sorvegliante e continua a cantare e a suonare l’armonica. Constatando anche in altri alunni la predisposizione al canto, Mathieu decide di dare vita ad un coro, nonostante le obiezioni del direttore.
Da quest’attenzione rivolta agli interessi dei suoi allievi, ha inizio un’azione didattica volta a cogliere e a valorizzare le loro qualità e predisposizioni ancora acerbe, ma che con il sostegno e la guida di un’insegnante zelante si sviluppano e fioriscono. Mathieu è un educatore un po’ goffo ma dalle maniere delicate, che si prende cura dei suoi studenti adottando uno sguardo che va al di là del loro iniziale atteggiamento ribelle. All’interno della classe riesce a dedicare l’attenzione ad ogni singolo ragazzo e grazie a questo atteggiamento personalizzato aiuta ognuno a trovare, all’interno del coro, il ruolo che più gli si confà. In particolare riesce a mettere in luce il talento eccezionale di uno dei ragazzi, Morange, che nonostante l’atteggiamento in principio ostile e chiuso, finisce per diventare direttore d’orchestra.
La musica diventa lo strumento attraverso cui la speranza nei ragazzi si riaccende e illumina la loro vita all’interno del collegio, luce che però è contrastata dalla volontà di prevaricazione e imposizione del direttore che continua a rimanere cieco di fronte alla bellezza dei giovani in fiore. Il suo tono autoritario esalta ancora di più il carattere al contrario autorevole del professore di musica che ispira rispetto e fiducia nei ragazzi, pone la sua autorità al servizio dei suoi studenti che finalmente conoscono una relazione positiva e carica di stima e affetto. Questi ultimi tratti sono alla radice del gesto con cui i ragazzi salutano il loro insegnante quando, in una delle ultime scene, è costretto a dimettersi. Un insegnante dal cuore grande, che non ha paura di spendersi per le persone che gli sono affidate e che addirittura adotta uno dei più piccoli fanciulli che tutti i sabati attendeva speranzoso il ritorno dei suoi genitori.
Un’ultima parola deve essere spesa per sottolineare quanto sia la riflessività del professore ad accompagnare ogni sua azione, questo filo conduttore è anche l’ingrediente per una pratica di qualità e che viene offerto allo spettatore per entrare più in profondità nella mente e nel cuore del professore.