«Carlo Acutis, il mio studente beato. Era come un pezzo di cielo» – (Newsletter n.3 ottobre 2020)

«Carlo Acutis, il mio studente beato. Era come un pezzo di cielo» – (Newsletter n.3 ottobre 2020)

di Gian Guido Vecchi (fonte: Corriere della Sera – 11.10.20)

Domenica 11 ottobre è stato dichiarato beato Carlo Acutis, lo studente milanese morto a soli 15 anni, primo santo fra i cosiddetti millenials.

Nell’intervista al sacerdote che gli faceva da assistente spirituale nel liceo da lui frequentato, Carlo viene descritto come un ragazzo che oltre a un forte impegno nello studio dimostrava una grande generosità e gentilezza nei confronti dei compagni e delle persone che incontrava ogni giorno. In particolare possedeva, a detta di tutti, una straordinaria, per la sua età, competenza informatica, che ha saputo mettere generosamente a disposizione della scuola per illustrarne le attività di volontariato. Grazie a questa sua passione per il computer, che lo accomuna a tanti suoi coetanei, si è parlato di lui come del futuro patrono di internet. Quello che della vita di questo giovanissimo ha colpito tanti è stata la capacità, certamente sorretta dalla fede, di vivere in profondità e di coniugare in modo armonioso quelle che sono le dimensioni dell’esistenza di ogni normale ragazzo del nostro tempo, famiglia, scuola, amicizie, volontariato, sport e nuove tecnologie. In questo senso la sua testimonianza è un invito per ogni educatore a guardare con fiducia agli adolescenti che incontra nella sua attività e a vivere con ancora più passione la sua missione.

«Aveva una finezza, una signorilità innate… Per dire: c’era il portinaio, Mario, una figura storica del Leone XIII. Carlo, come altri ragazzi, lo salutava ogni mattina all’ingresso. Però capitava che talvolta entrasse dalla piscina, a lato. Mario mi ha raccontato che in quei giorni “il Carlo” andava a salutarlo all’intervallo, quasi scusandosi di non averlo fatto prima». Il padre gesuita Roberto Gazzaniga era assistente spirituale dei liceali in quegli anni, una figura analoga a quella della guida negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio. E lo ricorda bene, Carlo Acutis, il ragazzo milanese di 15 anni morto nel 2006 di leucemia fulminante che ieri, nella Basilica Superiore di Assisi, è stato proclamato solennemente «beato».

Che ragazzo era Carlo?
«Un ragazzo capace di sorridere e scherzare, una presenza positiva. Una di quelle persone che, quando ci sono, tu stai meglio. Che ti aiutano a vivere, a livello umano e di fede. Lo vedevo e mi veniva da dire: questo è un pezzetto di cielo per gli altri ragazzi».

Si è ripetuto: un ragazzo normale. È così?
«Sì, ma di una normalità, una quotidianità dotata di spessore. Carlo era dotato. Molto. Sia dal punto di vista intellettuale — vidi i suoi libri di informatica: erano testi universitari — sia da quello spirituale. E sa una cosa? A quell’età c’è molta competizione. Si tende a non sopportare chi si distingue. Eppure con Carlo non era così. Aveva carisma. Era anche un bel ragazzo, le compagne lo notavano… Eppure non c’erano invidie. Non ho mai visto nessuno che litigasse con lui. Gli volevano bene. Una capacità rara di coltivare i rapporti umani. Uno dei compagni che a scuola faceva più fatica mi chiese di servire messa al funerale, Carlo lo aveva aiutato».

Già si parla del primo santo dei «millennials» e patrono di internet. Che modello è per i coetanei?
«Il modello di un testimone che evangelizza per come è, con il suo esempio. Non un credente “militante” che fa proselitismo. Parlando con il suo parroco, ho saputo che andava in chiesa ogni giorno, per l’eucaristia e la preghiera personale. Faceva volontariato, aiutava i più poveri e disagiati. Tutto questo si notava perché c’era e si vedeva, ma non era mai ostentato».

La discrezione…
«Sì, uno che vive la sua fede senza nasconderla né gettarla sul banco, che non la fa pesare e non accende nessuna luce su se stesso. Ma i santi sono questi: gente che vive la realtà quotidiana con impegno e una certa disinvoltura. Con il sorriso, con naturalezza. Per lui era come respirare. E non si tirava mai indietro».

Ad esempio?
«Ricordo che gli chiesi di preparare un Powerpoint, lui che era così impegnato nella carità e capace al computer, per illustrare le attività di volontariato del Leone XIII, il doposcuola, la mensa per i poveri, l’insegnamento dell’ italiano agli stranieri… Aveva appena iniziato la quinta ginnasio, era un compito che avrebbe spaventato tanti, da proiettare in tutte le classi. Lui ci si gettò a capofitto. Non ha potuto concluderlo. Il venerdì in classe non c’era. Una brutta febbre, il suo vecchio pediatra capì e disse di portarlo subito al San Gerardo di Monza. Ma non ci fu nulla da fare».

Morì in tre giorni…
«Lo portarono a casa. Era vestito con una tuta semplice. Ricordo che dissi alla mamma: troverà quello che ha scritto. Più tardi mi mostrò un libretto. Carlo, a tredici anni, scriveva che la vita è una cosa bella e impegnativa e non la si costruisce su ciò che è effimero. Aveva elencato una serie di virtù e disegnato una montagna dove si elevavano gradualmente. Un ragazzo di tredici anni, si rende conto?».

Les Choristes  – (Newsletter n.3 ottobre 2020)

Les Choristes – (Newsletter n.3 ottobre 2020)

Paese: Francia – Durata: 97 minuti – Regia: Christophe Barratier

Un gruppo di ragazzi vivaci, un direttore autoritario e un insegnante premuroso: sono questi gli ingredienti di Les Choristes, pellicola del 2004 di Christophe Barratier, che racconta di quanto una relazione di qualità e davvero umana aiuti gli alunni a scoprire la bellezza della vita.


Siamo alla fine degli anni Quaranta in Francia, all’interno di un collegio per bambini orfani di guerra, in cui la punizione e l’intolleranza degli adulti regnano sovrani, fino a quando viene assunto in qualità di sorvegliante Mathieu (Gérard Jugnot), ex compositore di musica rimasto disoccupato.
In una delle scene iniziali il professore entra nel dormitorio dei ragazzi e al suo passare tra i letti tutti si posizionano sull’attenti e immobili, solo un bambino non si accorge della presenza del sorvegliante e continua a cantare e a suonare l’armonica. Constatando anche in altri alunni la predisposizione al canto, Mathieu decide di dare vita ad un coro, nonostante le obiezioni del direttore.


Da quest’attenzione rivolta agli interessi dei suoi allievi, ha inizio un’azione didattica volta a cogliere e a valorizzare le loro qualità e predisposizioni ancora acerbe, ma che con il sostegno e la guida di un’insegnante zelante si sviluppano e fioriscono. Mathieu è un educatore un po’ goffo ma dalle maniere delicate, che si prende cura dei suoi studenti adottando uno sguardo che va al di là del loro iniziale atteggiamento ribelle. All’interno della classe riesce a dedicare l’attenzione ad ogni singolo ragazzo e grazie a questo atteggiamento personalizzato aiuta ognuno a trovare, all’interno del coro, il ruolo che più gli si confà. In particolare riesce a mettere in luce il talento eccezionale di uno dei ragazzi, Morange, che nonostante l’atteggiamento in principio ostile e chiuso, finisce per diventare direttore d’orchestra.


La musica diventa lo strumento attraverso cui la speranza nei ragazzi si riaccende e illumina la loro vita all’interno del collegio, luce che però è contrastata dalla volontà di prevaricazione e imposizione del direttore che continua a rimanere cieco di fronte alla bellezza dei giovani in fiore. Il suo tono autoritario esalta ancora di più il carattere al contrario autorevole del professore di musica che ispira rispetto e fiducia nei ragazzi, pone la sua autorità al servizio dei suoi studenti che finalmente conoscono una relazione positiva e carica di stima e affetto. Questi ultimi tratti sono alla radice del gesto con cui i ragazzi salutano il loro insegnante quando, in una delle ultime scene, è costretto a dimettersi. Un insegnante dal cuore grande, che non ha paura di spendersi per le persone che gli sono affidate e che addirittura adotta uno dei più piccoli fanciulli che tutti i sabati attendeva speranzoso il ritorno dei suoi genitori.


Un’ultima parola deve essere spesa per sottolineare quanto sia la riflessività del professore ad accompagnare ogni sua azione, questo filo conduttore è anche l’ingrediente per una pratica di qualità e che viene offerto allo spettatore per entrare più in profondità nella mente e nel cuore del professore.

Claudia Zenone

Spunti per l’insegnamento della “NUOVA” EDUCAZIONE CIVICA – Incontro con Stefano Fontana

Spunti per l’insegnamento della “NUOVA” EDUCAZIONE CIVICA – Incontro con Stefano Fontana

Giovedì 15 ottobre 2020 il Centro Studi per l’Educazione ha il piacere di ospitare, in modalità telematica, il professor Stefano Fontana, veronese, docente di Storia e Filosofia, nonchè giornalista e scrittore

Lavoreremo con lui sul tema dell’Educazione Civica, materia che, in questo anno scolastico, riguarderà trasversalmente tutti gli ambiti dell’insegnamento.

L’incontro si svolgerà in modalità telematica; per questo motivo è indispensabile l’iscrizione tramite mail all’indirizzo segreteria@centrostudieducazione.it


AIUTAMI AD ESSERE FELICE – QUELLA LUCE NEI LORO OCCHI

AIUTAMI AD ESSERE FELICE – QUELLA LUCE NEI LORO OCCHI

Educare alla felicità è compito essenziale che coinvolge il campo dell’intelligenza socio-emotiva, cognitiva, etica, una finalità non dettata solo da nuovi contesti sociali e culturali. È prima di tutto un dovere morale di chi non rinuncia mai a interrogare la vita e a interrogarsi, a sperare e a lottare per e con le giovani generazioni.

Come confermano a livello internazionale le più accreditate ricerche psicopedagogiche, educazione e istruzione rappresentano poli interdipendenti e inscindibili dello stesso processo formativo: nelle scuole dove si punta ogni giorno a sostenere l’impegno personale e lo sviluppo del carattere, il senso di reciproca appartenenza e di responsabilità, gli studenti sono altamente motivati a dare il meglio di sé e a impegnarsi efficacemente nello studio.

Una scuola di vita, prima di tutto, per il conoscere, per il saper fare e per l’essere!

Destinatari
Personale docente di ogni ordine e grado (scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di 1° e 2° grado) e studenti universitari nel campo delle scienze educative

Verrà rilasciato attestato di partecipazione
Se per motivi sanitari non fosse possibile avviare il Corso, non si esclude la possibilità di attivarlo in modalità webinar (in questo caso verranno fornite puntuali indicazioni per gli iscritti).

Programma

L’edizione a distanza è strutturata in 5 Unità formative

Sabato 7 novembre: Unità Base, introduttiva e con carattere di obbligatorietà

Sabato 14 novembre e sabato 28 novembre: 4 Laboratori a scelta (di cui 2 obbligatori ai fini del rilascio di Attestato di partecipazione).

per maggiori dettagli sul programma completo delle 3 giornate scarica la locandina allegata

Costi – 70,00€ (comprensivi di iscrizione, coffee break, pranzo, materiale didattico)

Modalità di iscrizione

Come iscriversi (scadenza iscrizioni il 31 ottobre 2020)

1. Scarica la scheda di iscrizione (che trovi in fondo pagina) e compilane ogni sua parte, compreso il modulo sulla privacy

2.a. Se usufruisci della Carta del docente:

 – Genera sulla piattaforma S.O.F.I.A. il buono di €70,00 per partecipare al Corso “Aiutami ad essere felice. Quella luce nei loro occhi”

Identificativo : 48604  Edizione: 71245    

– Invia la scheda d’iscrizione e il buono Carta del Docente all’indirizzo: isacpro@prosocialita.it – Riceverai una conferma via mail dell’avvenuta iscrizione

 2.b. Se NON usufruisci della carta del docente:

Effettua il versamento di € 70,00 sul cc:     IT65D0200838511000104669877 intestato a Istituto di Scienze dell’Apprendimento e del Comportamento Prosociale – I.S.A.C. PRO- Causale: Quota di partecipazione al Corso “Aiutami ad essere felice”  + nome e cognome del partecipante

– Invia la scheda d’iscrizione e la ricevuta del bonifico all’indirizzo: isacpro@prosocialita.it – Riceverai una conferma via mail dell’avvenuta iscrizione.

Contatti utili

e-mail isacpro@prosocialita.it
segreteria@centrostudieducazione.it

L’Arte di insegnare – Incontro con Isabella Milani

L’Arte di insegnare – Incontro con Isabella Milani

Sabato 3 ottobre 2020  presso l’Istituto Virgo Carmeli – Via Carlo Alberto, 26 Golosine – 37136 Verona

All’inizio di un nuovo anno scolastico che pone insegnanti e studenti di fronte ad una nuova sfida educativa, il Centro Studi per l’Educazione propone un incontro con la Prof.ssa Isabella Milani per riflettere insieme su …. l’Arte di insegnare

Si può imparare ad essere bravi insegnanti ?

Come si conquista la fiducia dei propri studenti ?

Oggi si può vincere la sfida educativa ?

Quando l’insegnante è determinante per gli alunni ?


Conversazioni sotto l’ombrellone – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Conversazioni sotto l’ombrellone – (Newsletter n.2 settembre 2020)

“E Lei.. di che si occupa nella vita?” mi chiede titubante la vicina di ombrellone, tra una richiesta di informazioni meteo e uno scambio di consigli sulla crema solare.

“Io insegno.”, rispondo sorridente

“Che bello! E’ così bello lavorare con i bambini!”, esclama con voce entusiasta.

“A dire il vero insegno in una scuola media..Lettere”, puntualizzo.

“Aaah…– geme inorridita – Che coraggio! Io non resisterei un attimo con quelli di quell’età…e poi al giorno d’oggi…noi non eravamo così. Sfacciati, maleducati…e come vanno a scuola vestiti…e poi …neanche un po’ di rispetto…e le famiglie che danno sempre ragione ai figli…una volta invece…”

“Già…”, sospiro piano.

Sospiro perché non ho la forza di aggiungere altro: non saprei come raccontare a quella signora che si dilunga infuocata nella solita retorica sociologica del “non come una volta” il viaggio che ogni anno mi accingo a intraprendere: ogni settembre mi imbarco su una nave e salpo senza conoscere il porto che mi attende, sempre un po’ restia e sospettosa, carica dei miei bagagli, dei miei programmi e delle mie aspettative, e mi ritrovo a viaggiare per mari e terre sconosciute, sicura solo che quando il viaggio sarà terminato, io sarò diversa e un po’ cresciuta.
Non ho la confidenza per spiegarle che sì, ci vuole coraggio a insegnare, ma non perché i ragazzi non sono più come quelli di una volta, ma perché saremo noi, dopo aver intrapreso questo viaggio, a non essere più quelli di una volta: non saremo più gli insegnanti dell’anno scorso, gli insegnanti del mese scorso… forse non saremo più le persone del tempo appeno trascorso.

Anche il prof. Mazard, nel film “Quasi nemici”, non è più lo stesso uomo dopo il percorso che è stato costretto a intraprendete con la studentessa Neilah, non è più lo stesso figlio (va a ritrovare la vecchia madre che da tanto tempo non vedeva), e solo in ultima battuta non è più lo stesso insegnante.

A dire il vero, vi confesserò, ogni volta che il viaggio di un nuovo anno scolastico ha inizio mi sento colpevolmente simile a questo saccente professore parigino: con una certa sicumera squadro i miei alunni, noti o sconosciuti che siano, con occhio critico, disapprovando dentro di me l’abbigliamento dell’uno, l’atteggiamento dell’altro, il linguaggio dei più… qualcuno mette pericolosamente alla prova la mia pazienza, qualcun altro riesce proprio a irritarmi.

Cos’è allora che cambia le carte in tavola? Cosa rovescia la situazione? Cosa spinge il prof. Mazard a piegarsi a un grazie per Neilah? Cosa spinge me a ostinarmi, ogni anno, a ricominciare il viaggio?
So di dire qualcosa che per voi è lapalissiano, scontato, quasi imbarazzante da ripetere, ma io ho bisogno di ricordarmelo ogni giorno e di scriverlo perfino qui, per rendermelo ancora più chiaro.
Ciò che fa cambiare rotta alla nave, che salva i miei alunni dal rischio che li faccia gettare in mare e salva me dall’ammutinamento, ciò che rende entusiasmante il mio e il loro viaggio e ci impedisce di naufragare, è senza ombra di dubbio la relazione.

La relazione dà senso a quello che faccio, la relazione è il tasto SAVE del mio lavoro, il tasto SAVE dell’esperienza scolastica, per me e per i miei alunni; nella relazione insegno tutto, nella relazione imparo tutto, nella relazione mi dimentico ogni nozione per impararla in modo nuovo, nella relazione si sgretolano i miei schemi mentali per ridisegnare la mappa del mio viaggio personale -e solo in secondo luogo professionale. Nella relazione divento capace di dire grazie ad ogni mio singolo alunno, di preoccuparmi per lui, di desiderare il meglio per e da lui.

Capiamoci: quando parlo di entrare in relazione non sono così ingenua da credere che dobbiamo indossare i panni strappati e cortissimi dei nostri alunni, dimenticarci i congiuntivi, sfidarci a Fortnite, ascoltare i loro idoli musicali e frequentare i loro locali per conquistare la loro simpatia e indurli ad ascoltarci.
Quando parlo di relazione intendo dire che l’insegnante riesce a salvarsi dal senso di frustrazione e fallimento e riesce a in-segnare ai suoi alunni un orizzonte di Senso, solo se si rende disponibile a scoprire e ad accogliere la persona che gli si pone davanti in tutta la sua interezza. Possono senza dubbio manifestarsi tra alunni e insegnante una antipatia o simpatia iniziale, una fiducia o sfiducia anche reciproca, diffidenza, insofferenza…ma l’insegnante che non vuole naufragare insieme a tutta la sua classe deve avere l’apertura e la disponibilità a mettersi in ascolto dell’altro, a lasciarsi interpellare dalla persona con cui ha a che fare e soprattutto concedersi e concedere all’altro il tempo.

Tempo per scoprirsi, per conoscersi, per farsi conoscere.
E’ il tempo di un anno scolastico che Pierre Mazard e Neilah sono costretti a condividere che li porta a conoscersi, a veder sgretolare le proprie solide convinzioni e ad avvicinarsi l’uno al mondo dell’altra. E’ il tempo lungo di un mese senza social, che permette a Veronica, la protagonista del libro di Fernando Muraca, di cambiare i nomignoli di amici, presunti tali e professori.
Ed è solo col tempo necessario a costruire la relazione che l’insegnante si trasforma in un educatore: colui che è capace di intravedere la bellezza e le potenzialità delle persone che gli sono affidate e non può permettere che queste rimangano sepolte, perché nella relazione si scopre a voler loro bene, a volere il loro bene.

Come emerge chiaramente dalla figura del prof. Mazard in “Quasi nemici” e da quella della prof.ssa La Balena Bianca, nel libro “Liberamente Veronica”, l’educatore non si accontenta di far lezione, di trasmettere quello che sa, ma si fa esigente, è sfidante, è provocatorio, tanto da risultare antipatico e non essere compreso nelle sue assurde intenzioni (“ti sfido a non usare i social per trenta giorni”, “ti sfido a recitare sulla metro attirando l’attenzione di tutti”…). L’insegnante che si fa educatore non molla: sa che nel gioco al rialzo che propone c’è l’ambizione di far emergere la dignità di quella persona, di allenare la sua volontà a raggiungere le mete sognate, di far crescere la sua autostima.

L’esperienza di questi due anni di vita del Centro Studi per l’Educazione racconta però come sia urgente e vitale per gli insegnanti affrontare questo viaggio insieme, trovando uno spazio in cui riflettere, nel senso proprio del termine di fare da specchio gli uni agli altri. Uno spazio in cui aiutarsi, imparare reciprocamente, riconoscere come la propria professionalità sia costantemente in crescita e sia inevitabilmente senza regole, perché le regole del gioco si inventano ogni giorno nella relazione con l’altro, che è sempre diverso, come diversi sono gli alunni, come diverso è lo stesso alunno, ogni giorno che passa, come diversi siamo noi, resi di giorno in giorno più umani dai nostri ragazzi.


Insomma, cara signora sotto l’ombrellone, cosa vuole che le dica? Ha proprio ragione lei: l’insegnamento è un mestiere per gente coraggiosa!

Silvia Spillari

Intervista su Dante al professore Paolo Re, docente di latino e greco presso lo Iunior International Institute dell’Università degli studi di Roma,  – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Intervista su Dante al professore Paolo Re, docente di latino e greco presso lo Iunior International Institute dell’Università degli studi di Roma, – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Nel 1321 moriva, esule a Ravenna, Dante Alighieri, poeta che, dopo 700 anni, non smette di ispirare e attrarre anche il grande pubblico. Certamente il mondo della scuola non può non approfittare di questa irripetibile occasione per soffermarsi sulla figura di Dante come uomo del suo tempo e come immortale poeta.

Abbiamo voluto interpellare su questo tema il professore Paolo Re, docente di latino e greco presso lo Iunior International Institute dell’Università degli studi di Roma che ha volentieri dato il suo contributo e risposto alle nostre domande

1. Come può un insegnante entusiasmare i ragazzi del 2020 con le opere dantesche? Solo la Divina Commedia o altre sue opere possono solleticare l’interesse degli studenti? E’ utopia pensare di proporne la lettura anche ai bambini?

Per entusiasmare al bello, occorre “mettere a contatto” gli studenti con l’opera d’arte, e quindi innanzitutto averla esperita come significativa per sé. Dunque, secondo il noto “principio di causalità” di cui parlavano addirittura Aristotele e san Tommaso (nemo dat quod non habet), il primo ingrediente necessario sarà l’entusiasmo del docente, che si spera abbia “vibrato” sintonizzandosi con Dante almeno in qualche momento! Come per qualunque argomento da trasmettere, non è sufficiente che sia “previsto da qualche progettazione”, bisogna che io insegnante abbia trovato in quei testi un quid speciale che mi fa un po’ volare: allora potrò mostrarne la bellezza agli alunni, senza peraltro pretendere che tutti entrino subito in risonanza… basta che “vedano” la mia, di risonanza!


In secondo luogo, naturalmente bisogna predisporre strategie differenti per gli alunni delle diverse età. Per studenti di scuola secondaria di primo grado – di cui sono competente – suggerirei, per citare alcune delle esperienze positive realizzate: 
la lettura del canto proemiale della Commedia, (che non offre eccessive difficoltà di lessico) con calma e con il tempo di “immedesimarsi” in Dante – personaggio, magari tenendo presente la lettura di Singleton (La poesia della Divina Commedia, pp. 17-35: “Allegoria”); la memorizzazione di alcuni brani (penso a qualche sonetto della Vita Nova, o ai brani infernali degli ignavi, di Paolo e Francesca, anche di Ulisse) “lanciando la sfida” della memorizzazione, che oggigiorno sembra inizialmente impossibile, ma è a mio avviso l’unico modo di assaporare la poesia… e dà la grande soddisfazione di una scoperta di novità (posso “possedere” la poesia in modo intimo, come un qualcosa di pienamente diventato mio…). 


La scelta di un testo che preveda, oltre a qualche brano originale, una riduzione narrativamente “completa” del viaggio di Dante (ne esistono numerosi in commercio). Eviterei decisamente l’antologia spezzettata, per non sentirmi porre la domanda che qualche anno fa un alunno mi ha rivolto “Prof, mia sorella al liceo legge l’Eneide in un modo strano, a pezzetti: e chiede a me che cosa succede tra un pezzo e l’altro…” Questo avveniva – come si può intuire – in una I media, in cui da anni leggiamo tutta l’Eneide in modo scorrevole, come racconto. Da questo punto di vista un limite serio per la Commedia è ovviamente l’estensione, che ne impedisce una lettura completa, nonché il fatto che leggiamo il testo originale, che in vari momenti richiede chiarimenti. Ma proprio questo piano linguistico è a mio avviso un altro grande punto di fascino: NOI POSSIAMO LEGGERE DANTE DOPO 700 ANNI… E LO CAPIAMO! Come mai? Pensandoci bene, Dante fa parte della spiegazione: ha costruito un monumento talmente bello che, da quel momento, tutti noi italiani (prima ancora di essere unificati politicamente) lo abbiamo letto e apprezzato… e non ci siamo più allontanati di molto dalla sua lingua! Grazie, padre Dante…
Per concludere con un cenno alle altre due domande: le altre opere di Dante possono essere presentate (a cominciare dai sonetti della Vita Nova e non, e innanzitutto da Tanto gentile…) a seconda della dimestichezza del docente. Idem risponderei per le classi primarie: ho conosciuto insegnanti che “lavorano” su quadri impressionisti, o su opere liriche… perché non su versi di Dante? Si tratta di costruire i percorsi di senso che rendano l’incontro possibile, perché il piccolo riconosce la bellezza immediatamente! 

2. Anche dalla vita di Dante e dal suo contesto storico possiamo trarre spunti di riflessione condivisibili con gli studenti?

Certamente, si tratta della vita di un italiano antico, ma pur sempre immerso in problemi che conosciamo bene: le divisioni e i litigi, la mancanza di coesione pubblica, le lotte per l’eccellenza campanilistica, con tanto di colpo di stato e di esilio… ma anche alla ricerca della verità, con una lingua che sapeva impiegare come uno strumento perfettamente controllato, per costruire… o per colpire! Un buon padre di famiglia, che ha sofferto l’esilio e ha vissuto con una grande apertura d’orizzonti. Mi pare che la vita familiare di Dante andrebbe rivalutata: il fatto che la figlia, diventando suora, scelga il nome di Beatrice e che Pietro diventi il primo commentatore dell’opera paterna, mi pare illuminante sulla comprensione “familiare” del discorso del Nostro. 
A mio avviso il sogno di Dante espresso nel De Monarchia (distinzione di ambiti tra Chiesa, Stato e cultura, come spiega bene Gilson, in Dante e la filosofia) si sta realizzando nelle migliori tendenze del mondo contemporaneo: c’è un grande desiderio di pace e di una autorità mondiale che la garantisca, c’è da un secolo e mezzo (solo!) un’effettiva distinzione del potere civile da quello religioso, c’è la possibilità di comunicare e di unirsi tramite la cultura… Aver sognato questo settecento anni prima mi pare un notevole motivo di interesse! E so che anni fa in una facoltà di Scienze politiche si studiava proprio il De Monarchia come luogo di un pensiero molto originale e interessante. 

3. La Divina Commedia introduce a realtà che per i contemporanei dell’autore erano indiscutibili certezze ma che l’uomo moderno tende ad ignorare: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Quale reazione suscita l’aldilà, l’esistenza di un mondo di espiazione e premio nei ragazzi? 

I concetti di premio e di punizione sono estremamente presenti nella nostra mentalità (e forse nelle mentalità di tutti gli educatori del mondo). Da questo punto di vista non mi pare che i ragazzi trovino difficoltà ad accettare la “visualizzazione” dantesca dell’aldilà. Peraltro, mi pare che siamo di fronte a una delle costanti dell’umanità, se Platone – scusandosi ironicamente di introdurre “racconti da vecchiette” – parlava esattamente di punizione eterna, di premio eterno e di situazione di purificazione, nel Gorgia, come nel Fedone o nella Repubblica; e naturalmente una situazione analoga viene descritta nel viaggio di Enea in Virgilio, nel VI libro dell’Eneide che costituisce come il canovaccio ispiratore per Dante. Proprio perché il tema “interessa” istintivamente, occorre che il docente ci pensi bene, perché le reazioni saranno immediate (l’idea che la gola possa essere un peccato mortale preoccupa immediatamente un pubblico di ragazzi normali… come si può spiegare Ciacco all’Inferno?)

4. Il cammino di Dante nella Divina Commedia è un percorso dall’infelicità dell’inferno alla beatitudine piena del Paradiso. Può quest’opera indicare una strada per assolvere al bisogno di felicità che abita ogni essere umano, soprattutto nei ragazzi e nei giovani?

Questa domanda richiede una vita per avere risposta: letteralmente una vita! Certo, se il docente si sente “in cammino” (viator) e magari ha “drizzato il collo” per tempo al pan delli angeli, del quale / vivesi qua, ma non sen vien satollo (Paradiso II, 10-12: Eucaristia e/o teologia), cioè se sta “vivendo” quello che Dante ha rappresentato, allora forse anche i ragazzi vedranno che non si tratta qui di parole, ma di uno stile di vita che esiste ancora, nel nostro mondo e con le nostre caratteristiche. Ma questa vita, proprio in quanto tale, può essere soprattutto mostrata, non direttamente trasmessa!

Miriam Dal Bosco

Dopo il lockdown un diario di bordo per salvare l’esperienza – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Dopo il lockdown un diario di bordo per salvare l’esperienza – (Newsletter n.2 settembre 2020)

di Gianni Zen (fonte: Il Sussidiario.net – 11.09.20)

L’autore, dirigente scolastico, vede nell’imminente inizio delle lezioni il ritorno alla scuola viva, dove la relazione fisica non è sostituibile da nessuna risorsa tecnologica. E lancia la proposta agli studenti di tenere un diario di bordo come occasione di riflessione su questi tempi particolari di scuola e di vita.

Dopo il lockdown, ritorna la scuola di vita, di vita piena. Sarà difficile, al di là di tutti gli sforzi, gli investimenti, le precauzioni. Ma non c’è alternativa alla scuola viva, fatta di incontri, di sguardi, di sentimenti, prima che di conoscenze e competenze da valutare.

E non c’è tecnologia che tenga, perché la scuola è, appunto, anzitutto relazione fisica. Cioè si cresce insieme, che siano piccoli o grandi. La tecnologia aiuta, può aiutare e integrare, ma mai sostituire due sguardi che si incontrano.

Quest’anno anche la scuola, come tutti gli altri contesti sociali, sarà cioè una palestra vivente di responsabilità, fatta di regole, anche di divieti, ma di una responsabilità che ci si augura sia capace di garantire e di prevenire il più possibile la salute di tutti.

Il rischio zero, lo sappiamo, non esiste, come ci siamo ripetuti tutti. Allora dobbiamo disporci, come in qualsiasi altro contesto, a convivere col rischio, e a confidare in ciascuno per il rispetto delle norme elementari. Auguriamo dunque un felice rientro a scuola, ma con questo pensiero di sottofondo.

Le scuole, con i presidi, i docenti, il personale, assieme agli enti locali, hanno lavorato duramente, in questi mesi, districandosi tra mille carte e dichiarazioni, per preparare questo rientro a scuola. Il vero punto critico rimane il trasporto, i trasporti pubblici. Giusto raccomandare tanta prudenza e attenzione.

Nelle famiglie si stanno vivendo questi momenti con tanta apprensione. L’importante è convincere e convincersi del rispetto delle norme e regole. Cioè fare la propria parte, sul piano del controllo preventivo, ma anche su quello formativo. Perché la scuola è scuola.

E a livello formativo, scandito per ordinamento di scuola e poi per i diversi indirizzi, tutti metteranno l’accento sulla fragilità come componente di sostanza della nostra vita personale e sociale. Fragilità come senso del limite, e come domanda di assunzione di responsabilità a livello di conoscenze, di comportamenti e di relazioni. Quanta scuola, in questa situazione, quanta scuola di qualità si riuscirà a realizzare? Eppoi, in presenza o, nel caso, anche a distanza?

Spetta qui ai docenti la revisione, anche il ripensamento, della programmazione didattica e culturale. Ed è bene che questa venga presentata e discussa con i ragazzi, anzitutto, ma anche con i genitori. Con un piccolo-grande risultato: sarebbe bello che i ragazzi iniziassero a scrivere una sorta di diario di bordo, in modo da lasciare traccia di questa esperienza di vita. Anche questa è scuola.

Il lockdown prima, e ora questo nuovo modo di vivere la scuola, non devono, prima o poi, scivolare via, per essere infine rimossi, ma sono momenti che è giusto interiorizzare, cioè far diventare opportunità di ripensamento di conoscenze e abitudini, anzitutto mentali.

Liberamente Veronica. I miei 30 giorni senza i social – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Liberamente Veronica. I miei 30 giorni senza i social – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Fernando Muraca, Città Nuova Editrice

“La vita può cambiare in un attimo quando meno te lo aspetti”: con queste parole Erika (soprannominata Squillo per i suoi modi emancipati) offre all’amica Veronica – e indirettamente a noi lettori – una delle chiavi interpretative della realtà e di questo libro singolare, scritto dal regista e sceneggiatore Fernando Muraca.

La trama è molto semplice: una ragazza quindicenne decide di raccogliere la sfida lanciata dalla sua prof e di fare l’esperimento di prescindere per trenta giorni dai social, trascrivendo sul suo diario ciò che accade, fuori e dentro di sé. Ne risulta una vicenda intrigante, che ti prende dall’inizio alla fine, ricca di episodi divertenti, di colpi di scena e di cambiamenti, dapprima lievi, poi sempre più profondi.

Attraverso gli occhi e il cuore di questa adolescente non comune e tuttavia normale (è sorprendente la capacità dell’Autore di immedesimarsi nel mondo interiore dei giovani, con le loro visioni, abitudini, legami, paure e aspettative…) il lettore assiste e partecipa a una vera e propria rivoluzione copernicana: gli sembra di “uscire da una bolla”, scoprire la realtà (quella che si tocca e che ha odore), “vedere” le persone, permettendo di conseguenza all’amicizia (quella vera) di fiorire. Emblematici, a questo riguardo, i cambiamenti nei soprannomi che Veronica usa affibbiare alle persone intorno a sé: Squillo diventa semplicemente Erika, mentre Anna (l’amica creduta tale) viene ribattezzata Codardia. E ce n’è per tutti… (compreso LGBT, il compagno verso il quale Veronica si era fatta qualche illusione, prima di scoprirne l’orientamento omosessuale…).

Al rituale dei soprannomi e del loro cambio non sfugge neanche la prof responsabile dell’avvio dell’esperimento: inizialmente chiamata La Balena Bianca, con allusione impietosa alla sua corporatura, si svela progressivamente agli occhi di Veronica, fino a diventare semplicemente La Bianca, un’insegnante non perfetta, con le sue vulnerabilità, ma appassionata dei suoi ragazzi, credibile agli occhi dei giovani. Una prof, come ammette la stessa Veronica, che “ti guarda e ti vede”, capace di spogliarsi degli abiti del docente per mettersi al tuo fianco.

Personaggio, dunque, degno di nota per chi ha fatto della docenza il suo lavoro.

Il libro di Muraca è certamente supportato da una profonda conoscenza dell’influenza dei social sugli stili di vita e i modi di pensare di giovani e adulti (come prova anche la bibliografia che l‘Autore ha posto in appendice), ma l’intento pedagogico non prende mai il sopravvento: Liberamente Veronica non è un saggio, rimane un romanzo e come tale va letto.

Tornando alle parole di Erika citate all’inizio, ciò che colpisce in questa storia è il fatto che dal coraggio di cambiare qualcosa nella propria vita dipendono effetti insospettati, anche nelle persone intorno a noi, la cui vita è inscindibilmente intrecciata alla nostra. Ma non voglio togliere al lettore il gusto di scoprire l’evoluzione dell’intreccio…

Così come non voglio togliere la sorpresa di scoprire chi è veramente Veronica. Confesso che mi sono fatto questa domanda fin dalle prime pagine del libro: la protagonista di questo diario è reale o è una semplice finzione letteraria? A svelare l’enigma è lo stesso Autore nella postfazione al libro. E anche in questo caso la risposta non è scontata…

Quasi nemici – L’importante è avere ragione – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Quasi nemici – L’importante è avere ragione – (Newsletter n.2 settembre 2020)

Paese: Francia – Durata: 96 minuti – Regia: Yvan Attal

Un professore emerito della Parigi benestante, legato alla retorica classica e noto per essere un gran provocatore dai modi burberi, e una giovane ragazza di origini arabe che proviene dai sobborghi parigini e sogna di diventare un avvocato.

Questi i protagonisti di una pellicola divertente e profonda allo stesso tempo, che mette al centro il potere della parola e ha una forte missione pedagogica, trattando tematiche come l’accettazione della diversità e l’integrazione. L’incontro tra i due avviene in maniera brusca durante la prima lezione di diritto in cui Neila, matricola di giurisprudenza, arriva in ritardo e viene pubblicamente umiliata dal professore, Pierre Mazard, che la attacca facendo appello alla sua provenienza etnica. Da questo scontro nascerà un rapporto speciale, non sempre facile, che si rivela prezioso e arricchente per entrambi i protagonisti. Inizialmente il professore si avvicina alla ragazza con un intento tutt’altro che altruista: trovatosi di fronte a una commissione disciplinare a causa del suo comportamento razzista, gli viene offerta la possibilità di redimersi preparando Neila al torneo universitario di retorica.

Dopo un primo momento di diffidenza da parte della ragazza, i due iniziano a conoscersi e a fidarsi l’uno dell’altro. Lei impara a leggere gli atteggiamenti scorbutici del professore come delle provocazioni che servono per metterla alla prova, lui escogita delle strategie alternative per calare i suoi insegnamenti di retorica in contesti pratici, come la metropolitana. Questi stratagemmi rimandano all’importanza, nel processo di insegnamento e apprendimento, di proporre sfide concrete che rappresentano una possibilità di crescita per l’allievo. Tenendo fede alla massima delle lezioni di retorica “la verità non importa, ciò che importa è avere sempre ragione”, Neila vince una gara dopo l’altra qualificandosi alla finale di Parigi. In questa occasione, scopre la verità sul motivo per cui Mazard si è preso cura della sua formazione e decide di non presentarsi all’ultima prova. Grazie alle parole del suo ragazzo, Mounir, che la esorta a non mollare dopo tutto ciò che con fatica ha realizzato, inizia una corsa contro il tempo che porterà Neila a testimoniare per difendere Pierre davanti alla commissione d’inchiesta. Dalle parole della ragazza traspare tutta la sua preparazione retorica nella difesa di un accusato, in un discorso che inizia con una serie di critiche, ma si trasforma in un ringraziamento a colui che le ha permesso di conoscere la sua vocazione di avvocatessa.

È alla fine del film che si scorgono i frutti della relazione educativa tra Pierre e Neila, quando il professore rincorre la giovane per ringraziarla ripetendo una frase pronunciata da lei: “quando si parla bene ci si dimentica come dire le cose in maniera semplice”. Una relazione che ha portato Neila a coronare il suo sogno esercitando la professione di avvocato con consapevolezza e professionalità e che, indubbiamente, ha fatto bene anche al cinico professore, che è diventato più umano. Perché, si sa, la relazione educativa arricchisce entrambi i soggetti che la costituiscono, in un modo o nell’altro. Nonostante i suoi modi, Pierre è riuscito a trasmettere a Neila la passione per la sua materia e la tenacia nell’affrontare le sfide, dandole fiducia e credendo in lei. Caratteristiche, queste, che fanno parte della missione dell’insegnante, chiamato a stare dalla parte degli alunni e a sostenere le loro passioni e inclinazioni perché possano trovare il loro posto nel mondo.