Lug 29, 2020 | Insegnanti
Isabella Milani, Vallardi edizioni.
nsegnare è un’arte e, in quanto tale, non si può insegnare. Ma quello che ci offre la prof.ssa Barbara Serra, sotto lo pseudonimo di Isabella Milani, lo si può definire un vero manuale dell’insegnante.
Ottima lettura per insegnanti alle prime armi (da leggere il capitolo “Dedicato agli esordienti: la vostra prima volta in classe”), diviene uno strumento prezioso di riflessione anche per docenti più navigati: come ci vedono i nostri alunni? Come approcciare l’alunno oppositivo? Come decidere quali argomenti affrontare nella mia materia? Come conquistare l’attenzione degli studenti?
Queste ed altre domande riguardano maestri e professori che insegnano da un mese ma anche da vent’anni e l’autrice fornisce suggerimenti frutto della sua pluridecennale esperienza in classe.
Il linguaggio, dichiaratamente diretto e informale, lo rende adatto anche ad una lettura estiva.
NB: Isabella Milani sarà prossimamente ospite del Centro Studi! Keep in touch!
Miriam Dal Bosco
Lug 21, 2020 | Senza categoria
Ho tra le mani il bel volume, curato da Emanuele Balduzzi, che raccoglie diversi
contributi in onore di Giuseppe Mari, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale
presso l’Università Cattolica di Milano, prematuramente scomparso nel novembre del 2018.
Ritengo un dovere di affetto e di giustizia ricordare questa straordinaria figura di
intellettuale, di padre di famiglia e di amico, che tanto ha significato per il Centro Studi per
l’Educazione.
Non mi soffermerò sulle tematiche della sua lucidissima riflessione pedagogica,
ampiamente descritte nel volume succitato, quanto sulla relazione e sull’influsso che
Giuseppe Mari ha avuto sulla storia di questa nostra iniziativa formativa.
Personalmente l’avevo conosciuto nel maggio o nel giugno del 2015, grazie a un
comune amico, che ci aveva presentati in occasione di una conferenza sul perdono, tenuta
da Giuseppe a un gruppo di coniugi di Verona. Ricordo bene la simpatia e la consonanza di
pensiero che si instaurarono immediatamente tra di noi al termine di questa conferenza e…
davanti a un gustoso risotto all’amarone (sì, Giuseppe era anche un buongustaio!).
Da quel primo incontro presero il via diversi suoi interventi (conferenze,
ricerche-azione, ecc.) per la formazione di docenti e genitori sul territorio veronese.
Nulla di più ovvio, quindi, che ricorrere al suo consiglio quando, nell’autunno del 2017,
insieme a Paolo Campoccia, cominciò a concretarsi l’idea di dar vita, a Verona, al Centro
Studi per l’Educazione.
Rimane incancellabile il ricordo dell’autentico entusiasmo con cui Giuseppe accolse,
approvò e incoraggiò questa iniziativa. Così come rimangono indelebili e “fondative” alcune
linee-guida che lui suggerì per il lavoro del Centro Studi:
– non posizionarsi nell’ambito accademico, già inflazionato di proposte formative, ma
puntare piuttosto a promuovere una rete di insegnanti “riflessivi”, appassionati del proprio
lavoro e desiderosi di chiarirne sempre meglio i presupposti;
– approfondire le questioni antropologiche e pedagogiche di fondo, lasciando in secondo
piano (almeno all’inizio) gli aspetti più propriamente tecnici dell’insegnamento, già
abbondantemente affrontati da altre istituzioni formative;
– dedicarsi soprattutto ai giovani, a coloro che si stanno preparando all’insegnamento o
hanno appena cominciato a farlo.
L’ultimo aspetto era particolarmente caro al professor Mari, che guardava con
ammirazione e simpatia (oserei dire con “tenerezza”) al nostro gruppo di studenti, che si era
costituito in modo molto naturale. Di più: nell’estate del 2018 si offrì di venire a tenere per
questi giovani (gratuitamente, ci tengo a sottolinearlo) alcune lezioni per aiutarli a districarsi e
orientarsi nel complesso panorama pedagogico contemporaneo.
Purtroppo la sua prematura scomparsa, pochi mesi dopo, ha impedito la realizzazione
di quel progetto, che non è stato tuttavia accantonato, anche come dovere di onorare la
memoria di chi lo propose.
Devo anzi confessare che, non appena ricevuta la notizia della morte di Giuseppe,
insieme allo sconcerto, al dolore e contemporaneamente alla certezza di saperlo in
compagnia di quel Dio fatto Uomo, intorno al Quale ruotava tanta parte del suo pensiero e
del suo impegno di vita, si affacciò alla mente l’idea di non lasciarne cadere il lascito.
Una prospettiva, quest’ultima, che è diventata certezza durante il funerale, celebrato
a Roncadelle, al termine del quale ha preso la parola la moglie di Mari: con compostezza,
ma con fermezza e vigore, la cara signora Cinzia ha invitato i presenti a raccogliere
l’eredità intellettuale del marito, sviluppandone tutte le potenzialità.
Ebbene, considero il mio impegno personale nel Centro Studi per l’Educazione, oltre
che una manifestazione della mia passione per l’insegnamento e del desiderio di
approfondire e condividere la riflessione su di esso, anche una risposta a questa decisa
richiesta.
Grazie, Giuseppe!
Daniele Marazzina
Lug 21, 2020 | Insegnanti
Quale futuro per la scuola?
Nell’intervista, il prof. Matteo Sansone, dirigente scolastico, fa il punto sulle prospettive che si aprono per il nuovo anno scolastico, considerando il periodo della didattica a distanza come una necessaria soluzione di ripiego, ma che non può sostituire la scuola in presenza, nella quale soltanto si possono dare relazioni e costruire legami utili alla formazione integrale dello studente.
Per questo, pur riconoscendo le difficoltà oggettive che la riapertura delle scuole comporta in termini di allestimento degli spazi scolastici secondo le disposizioni di sicurezza, riconosce che il mondo della scuola si sta adoperando perché questo sia possibile. Ed inoltre auspica che il ritorno in aula susciti un rinnovato entusiasmo per una educazione di qualità.
1. Quali prospettive si aprono per il nuovo anno scolastico?
Il nuovo anno scolastico è alle porte, ricco di incognite e aspettative. Dopo la forzata esperienza della cosiddetta didattica a distanza, allievi e genitori sono impazienti di ritornare a scuola: posso testimoniare di aver assistito durante gli Esami di Stato, appena conclusi, a pianti liberatori da parte di alcuni studenti che esprimevano la dolorosa prova del distacco dalla comunità scolastica. Si esprimeva così il forte legame che a scuola si costruisce non solo con i compagni di classe, ma anche con i docenti e il personale scolastico.
Tutti vogliono, giustamente, ritornare a scuola: studenti, docenti, personale ATA e genitori, ognuno con la propria collocazione. La chiusura forzata dovuta alla pandemia, ha avuto l’effetto di far riscoprire il ruolo che riveste questa istituzione e del suo futuro. Abbiamo avuto la consapevolezza che non sarà possibile sostituire la scuola con altri surrogati anche digitali, come si profetizzava, pochi anni fa, in alcuni convegni settoriali con l’avvento del Web. Abbiamo riscoperto che la scuola è un luogo di incontro, di relazioni, dove si costruiscono legami che possono sembrare talora deboli, ma utili allo sviluppo della nostra identità personale e alla nostra formazione non solo culturale.
Dall’assunto che la scuola è insostituibile nella sua funzione sociale ed educativa, ma bisognosa di essere al passo con i tempi e con le esigenze dei nostri discenti, quindi con uno sguardo sempre rivolto all’innovazione, intesa come tensione al miglioramento, discende la grande aspettativa di ritornare sui banchi, anche monoposto, come ci impongono gli standard di distanziamento interpersonale anti Covid-19. La didattica a distanza assolve solo in parte i compiti educativi della scuola in presenza e pertanto la riapertura delle aule non solo è auspicabile, ma è irrinunciabile.
Il rientro, così desiderato, non è del tutto scontato e lineare: è adombrato da incognite. A scuola è quasi impossibile evitare gli assembramenti e pertanto occorre gestirli in sicurezza con le dovute misure idonee a prevenire eventuali contagi, le conseguenti chiusure e il ritorno alla DAD. Mancano spazi idonei a contenere le nostre classi che risultano numerose per le aule progettate con altri standard. Si apre un nuovo scenario: vi è un’oggettiva difficoltà a reperire nuove aule dalle dimensioni richieste dalla misure restrittive. Nell’impossibilità di soddisfare l’enorme richiesta di spazi nuovi e idonei, occorre mettere mano a delle soluzioni innovative: turnazioni, suddivisione della classe in gruppi e collocati in spazi diversi, didattica cosiddetta mista: un gruppo in presenza e un gruppo a casa con la didattica digitale. In queste settimane le scuole sono alle prese nel trovare le soluzione più idonee utilizzando tutti gli strumenti forniti dall’autonomia scolastica con il DPR 275/1999: questo è il momento favorevole che ci consente di mettere mano alla “creatività” didattica utilizzando tutta la flessibilità organizzativa e didattica che il Regolamento dell’autonomia consente: rimodulazione dell’unità didattica, didattica per gruppi, sottogruppi anche di classi diverse e parallele, la flipped classroom ecc.
2. Quale la peggiore e quale la migliore?
La prospettiva migliore è il ritorno graduale alla normalità in presenza, senza abbandonare la didattica a distanza, che può risultare utile non solo in caso di emergenza, ma anche per alcune attività complementari: approfondimenti, recuperi anche singolarmente attuati, ricerche, conferenze tematiche su Cittadinanza e Costituzione, Educazione Civica. Dall’esperienza vissuta in questi mesi, è emerso che per gli incontri collegiali , quali i Consigli di Classe , i Consigli di Istituto, le piattaforme digitali si prestano bene.
La prospettiva peggiore è il forzato ritorno alla sola didattica a distanza senza chiare linee guida ministeriali, che ci sono state promesse.
3. Quali i punti non negoziabili?
Irrinunciabile indubbiamente è il contesto di relazioni educative che la scuola è chiamata a costruire anche in situazioni emergenziali : i nostri studenti, soprattutto i più piccoli non possono rinunciare alle occasioni di crescita umana che la scuola offre con il suo servizio: pertanto bisogna far di tutto per garantire il ritorno sui banchi in sicurezza e nel rispetto delle norme di prevenzione dal contagio.
4. Come si sta preparando la sua scuola alla riapertura?
La scuola che dirigo, come tutte le altre, si sta preparando con una minuziosa ricognizione di tutti gli spazi che in base alla metratura possono ospitare classi intere nel rispetto del distanziamento interpersonale imposto dalle norme anti Covid -19. Terminata questa operazione, si chiederanno nuovi spazi all’Ente locale preposto, che sicuramente potrà soddisfare solo parzialmente le nostre richieste.
Di pari passo si sta studiando un piano per consentire a tutti gli studenti la didattica in presenza utilizzando tutti gli strumenti che il Regolamento dell’autonomia ci consente di utilizzare: didattica mista, con una quota minoritaria in DAD; turnazioni per alcune classi con orario antimeridiano e pomeridiano.
5. Immagini di essere Ministro, da cosa partirebbe per riaprire la scuola?
Premetto che nessuno vorrebbe essere nei panni del ministro della P.I.
Ciò detto, mi pare prioritario reperire tutti gli spazi utili per garantire il ritorno graduale alla normalità con la didattica in presenza, con gli investimenti richiesti per assicurare il rispetto delle misure preventive e non escluderei dallo scenario la didattica digitale che richiede una solida formazione settoriale che non sempre si può improvvisare.
Dal Bosco Miriam
Lug 21, 2020 | Insegnanti
Martin Buber, Armando Editore
Il tempo vola… I ragazzi cambiano! Gli scenari si trasformano! Gli strumenti evolvono! Problemi inediti incalzano! Le normative si rinnovano!
Gli insegnanti hanno urgenza di aggiornarsi… Presto! Un saggio nuovo, un nuovo webinar! Accorra qui un esperto, uno specialista!
Ma anche no.
Un libriccino vecchio, di carta.
Un filosofo, che non si è mai occupato sistematicamente di educazione.
Tre conferenze occasionali, una del 1925, una del 1935, una del 1939.
E il lettore, che galleggiava alla superficie del suo mestiere, guardandosi intorno alla ricerca di aggiornamenti, viene improvvisamente e impietosamente strattonato giù, nelle profondità del compito di insegnare. A contatto con le ragioni perenni e profonde della relazione educativa. Con l’incredibile sensazione che lì, proprio lì, i polmoni finalmente si riempiano d’ossigeno.
Perché va bene aggiornarsi, ogni tanto, ma quello di cui non possiamo proprio fare a meno è tornare a insemprarci, tornare a immergerci nell’essenziale, nel cuore della bellezza che vale sempre.
Il grande Buber ci catapulta in questa dimensione; con una lucidità e una densità espressiva che rendono queste pagine potenti anche all’ennesima rilettura.
«Un giovane insegnante entra per la prima volta in una classe avendone piena responsabilità, non più come tirocinante che verifica le sue competenze. La classe si trova di fronte a lui, a immagine del mondo umano, così diversificato e pieno di contraddizioni, così inaccessibile. Egli si rende conto: “Questi ragazzi non li ho scelti, sono stato messo qui e li devo accettare per come sono, eppure non come sono adesso, in questo momento, no, come sono veramente, come potrebbero diventare. Ma come faccio a rendermi conto di ciò che si nasconde in loro, e cosa posso fare per far sì che ciò prenda forma?” E i giovani non gli rendono facile il compito, fanno rumore e fanno sciocchezze, lo fissano con arroganza e curiosità. Ed egli è presto tentato di fermare colui che disturba, di imporre massime di correttezza, di obbligare a rispettare abitudini adeguate, dire di no, no a tutto ciò che dal basso si pone contro di lui – è tentato dunque di partire dal basso.»
La citazione non prosegue, per evitare spoiler inopportuni, e lascia il posto alla segnalazione
Alessandro Giuliani
Lug 21, 2020 | Senza categoria
Paese: Francia – Durata: 104 minuti – Regia: Nicolas Philibert
La cinepresa del regista Nicolas Philibert filma le vicende di una scuola rurale francese in tutta la loro naturalezza e genuinità, senza alcun artificio.
Si tratta, infatti, di un film documentario che permette allo spettatore di seguire, passo dopo passo, le vicissitudini di un maestro sulla soglia della pensione, Georges Lopez, impegnato ad accompagnare una pluriclasse composta da bambini e adolescenti. Un contesto particolare come questo richiede all’insegnante un approccio altamente personalizzato, lavorando sul riconoscimento delle differenze e dei talenti di ciascuno. Spesso lo si vede abbassarsi all’altezza dei suoi allievi, proponendosi non come un’autorità che parla sempre dall’alto, ma come una presenza che sa porsi al livello dei suoi studenti per supportarli nella loro crescita.
Il film si apre con l’immagine di una gelida bufera di neve, posta subito in contrapposizione con quella di un’aula scolastica dal clima caldo e accogliente. Questa scena iniziale può essere facilmente letta attraverso una lente metaforica: il mondo in cui il bambino è immerso e sul quale è chiamato ad operare, in maniera unica e speciale, è indiscutibilmente complesso; la scuola, dunque, si presenta come quel luogo sicuro che prepara ad affrontare la vita nel migliore dei modi, fornendo tutti gli strumenti culturali e formativi necessari.
Un’altra immagine, anch’essa significativa per la sua valenza simbolica, è quella di due tartarughe che si spostano con la loro naturale lentezza all’interno di un’aula scolastica, per poi giungere ai piedi di un mappamondo, che osservano con interesse e curiosità; anche questa immagine si presta ad una serie di riflessioni: così come le tartarughe impiegano diverso tempo per arrivare di fronte al globo terrestre, allo stesso modo il percorso che i bambini devono affrontare per conoscere la realtà è indubbiamente lungo e non privo di difficoltà; conseguentemente, gli insegnanti, in quanto educatori, sono sì chiamati a guidare i propri studenti alla comprensione della realtà e alla scoperta delle verità ultime dell’esistenza umana, ma non senza rispettare i loro tempi e salvaguardare la loro libertà interiore, evitando forzature e precocità. Inoltre, la scuola ha il compito di creare le condizioni affinché gli studenti possano sperimentare lo stupore di fronte al mondo che li circonda in maniera naturale e spontanea, perché è proprio dallo stupore che scaturiscono le cosiddette “domande fondamentali”, necessarie per crescere e maturare. In particolare, in una società come la nostra, fortemente radicata sul relativismo, o su un generalizzato scetticismo, educare i giovani ad uno sguardo che sia realista, coerente, sincero e aderente alla realtà risulta essere di capitale importanza.
Un’altra scena interessante è quella in cui il maestro Lopez invita un bambino ad elencare a voce alta la progressione dei numeri. In questo modo l’allievo scopre praticamente da solo i numeri nel loro susseguirsi; solo quando non è più in grado di procedere oltre, il maestro gli dà qualche piccolo suggerimento per proseguire. L’insegnante, dunque, non si limita ad una mera trasmissione di nozioni, ma guida il bambino verso un naturale e graduale possesso della conoscenza, partendo da ciò che egli già sa.
Una postura che caratterizza il maestro Lopez è certamente la disponibilità all’ascolto, sia con i bambini che con i genitori. In particolare si può evincere da diversi dialoghi come egli non abbia timore nell’affrontare temi impegnativi con i propri alunni, come può essere la malattia e la sofferenza. Inoltre, quando si presentano situazioni problematiche, come litigi ed incomprensioni, il maestro Lopez dà voce alle dinamiche che si sono venute a creare ed esterna i punti di vista e le posizioni dei bambini coinvolti, in modo tale che possano riflettere sull’accaduto e comprenderne i meccanismi. Adoperando questo ruolo di moderatore e aiutando i bambini a decentrarsi, il maestro li mette nelle condizioni di poter gestire positivamente i futuri conflitti. Non a caso l’insegnante non sminuisce o sottovaluta le cause dei litigi, ma li affronta con serietà. Il confronto, così gestito, si trasforma in una preziosa occasione di crescita cognitiva, emotiva e sociale.
L’insegnante, quindi, aiuta i bambini a decentrarsi e ad assumere una postura empatica. L’esempio che offre l’adulto è indubbiamente fondamentale: si può dire, infatti, che il maestro Lopez abbia uno stile comunicativo che incarna una profonda empatia, sensibilità e delicatezza, qualità certamente non incompatibili con la fermezza.
La professione dell’insegnante, data dall’intreccio tra educazione ed istruzione, richiede indubbiamente un’enorme responsabilità, perché, anche se non in maniera totalizzante, ci si fa carico del destino di un bambino; inoltre richiede una profonda umiltà: il maestro o la maestra entra in classe non per ricevere delle autogratificazioni, ma per mettersi al servizio dei bambini. Infatti, proprio nel momento in cui dona ai bambini ciò che è, ciò che possiede di bello, gradualmente e in modo naturale fiorisce anche la loro bellezza.
Per concludere questo spazio dedicato al film Essere e avere riporto alcune parole, semplici ma significative, che il maestro Georges Lopez pronuncia di fronte alla telecamera, quando racconta del perché abbia scelto di diventare insegnante: “Amo molto il lavoro con i bambini, loro mi danno molto in cambio”.
Lug 21, 2020 | Insegnanti
di Giorgio Chiosso (fonte: Il Sussidiario.net – 25.05.20)
Negli ultimi due decenni si sono moltiplicati gli studi e le ricerche se e come superare i modelli scolastici tradizionali eredi della stagione prussiano-napoleonica per renderli compatibili con le trasformazioni che sono sotto gli occhi di tutti. Nel 2001 l’Ocse pubblicò lo studio Schooling for Tomorrow cui fecero seguito il rapporto del National College for School Leadership, i “dieci principi” della Fondazione statunitense Mac Arthur, le recenti proposte del World Economic Forum e molto altro ancora (per quanto riguarda l’Italia ved. il volume della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, Un giorno di scuola nel 2020).
Secondo questi studi saremmo in presenza di tre principali scenari che riprendo dal documento Ocse sopra indicato.
1. Il primo è rappresentato dalla conservazione dello status quo, salvo qualche marginale ritocco. La fortissima resistenza al cambiamento di molti attori scolastici (spesso silente, ma non meno rocciosa) sarebbe un ostacolo insormontabile in grado di frenare/impedire qualsiasi prospettiva di reale cambiamento. L’alleanza tra i docenti conservatori, la difesa corporativa delle loro prerogative, l’inerzia dell’alta burocrazia ministeriale e l’incapacità del mondo sindacale di sostenere una coraggiosa linea di politica scolastica progressista costituirebbero i principali fattori, non solo in Italia, in grado di garantire ancora a lungo l’immobilità del sistema.
2. Speculari a questa posizione stanno i fautori di una graduale ma sostanziale e sostanziosa descolarizzazione. Sono riconoscibili in quanti sposano l’idea che “questa scuola”, anche quando le condizioni lo rendessero possibile, non si può più modificare tanto le sue strutture sono obsolete. Non resterebbe che accompagnarne la morte fisiologica (il sogno di Ivan Illich negli anni 70) e costruire, soprattutto mediante le opportunità fornite dalla rete e dalle tecnologie, pratiche di apprendimento e forme di socializzazione sostitutive, in larga misura dematerializzate. Cosa resterebbe della scuola che conosciamo? Forse la competenza di certificare i livelli di apprendimento – se proprio si vuole salvaguardare il riconoscimento del titolo legale – conseguiti ciascuno secondo i propri tempi e interessi mediante tempi e modalità variabili. A questa tesi aderisce una minoranza di insegnanti e di famiglie, per ora, ma molto ben attrezzata e sostenuta da importanti interessi economici.
3. Ci sono infine i riscolarizzatori che perseguono un’idea di “scuola diversa”: senza rinunciare all’apporto delle tecnologie, diffidano tuttavia dell’egemonia digitale e delle forme d’istruzione esageratamente destrutturate. Esse rischierebbero di trasformare l’insegnamento/apprendimento in esperienze solitarie e azzerare gli aspetti emotivi e affettivi che le accompagnano. Dai riscolarizzatori viene rimarcato con particolari enfasi che la scuola non è solo un luogo di esercizio cognitivo, ma anche di relazioni significative adulto/minore, un’opportunità di confronto culturale, un esercizio di convivenza, uno spazio di prova delle soft skills. Ma è davvero possibile dar vita a una “scuola diversa”? Sì, a condizione di liberare le scuole dai vincoli che ne condizionano la quotidianità, limitando a poche e generali regole il funzionamento, lasciandole libere di scegliere il personale e di predisporre i piani di studio, coinvolgendo le comunità locali, tutte condizioni necessarie per trasformarle in esperienze vitali e fare dell’autonomia non solo a parole.
È facile intravedere in questi tre scenari non solo gli orientamenti che attraversano il dibattito sul futuro scolastico nel mondo occidentale, ma anche le traiettorie della discussione politico-scolastica che si sta aprendo in Italia con caratteristiche – è facile prevederlo – molto diverse dal passato per due ragioni.
L’imprevista opportunità di sperimentare forzosamente un modello scolastico differente da quello tradizionale (casalingo, didattica a distanza, mancanza di rapporti in presenza con i docenti) ha documentato che sono possibili forme di insegnamento/apprendimento alternative a quelle abituali (naturalmente qui lasciamo perdere la loro attuale precarietà). Quanto avvenuto fulmineamente (e senza preparazione) negli ultimi tre mesi ha dimostrato che si può avere “un’altra scuola” (e non solo parlarne in astratto): in poco tempo si è incredibilmente aperto uno spazio d’azione inimmaginabile fino a poco tempo fa.
La seconda ragione è legata al patrimonio di esperienza umana vissuta nell’emergenza pandemica: le vicende di questi mesi fatte purtroppo di sofferenza, morte, povertà sono state accompagnate anche da generosità, partecipazione solidale, gratuità. Un patrimonio di valori umani che ha toccato il cuore di molti, che ha dato un nuovo senso alla realtà nazionale esaltando importanti dimensioni immateriali della vita comune. Non si può fingere che 30mila morti (ma sono sicuramente molte di più) siano passate senza suscitare domande significative. Di fronte alle statistiche della pandemia siamo stati spinti a riscoprire aspetti di senso vissuti a livello collettivo spesso censurati perché opinabili e in quanto tali confinati nella categoria ideologica.
Per quanto riguarda il futuro scolastico è molto difficile ipotizzare in quale direzione queste sollecitazioni potrebbero ridisegnarlo. Probabile che nessuna delle tre opzioni schematicamente presentate possa tradursi nella realtà, prevedibile invece che si creino soluzioni trasversali miste.
Una fondata preoccupazione è che si prendano delle scorciatoie semplificanti che potrebbero incrociarsi, per esempio, nella saldatura tra un neo-centralismo rassicurante e moderatamente generoso (qualche finanziamento per moltiplicare le dotazioni tecnologiche collettive e personali) che tranquillizza i vertici di viale Trastevere, la sostanziale conservazione dello status quo (che fa contenta la maggioranza dei docenti e dei sindacati) e una diffusa digitalizzazione presentata come scelta “progressista” e “democratica”. Come se dal numero dei pc in possesso delle famiglie e degli studenti si potessero dedurre la qualità della scuola e della formazione dei giovani.
In gioco c’è qualcosa di più e di diverso. Bisogna di nuovo tornare a interrogarci su quale educazione in generale e scolastica nella fattispecie vogliamo, proprio come è accaduto ogni volta che in passato la scuola ha attraversato i tornanti del cambiamento sociale e politico (ricostruzione democratica, sviluppo economico, scuola di massa…).
Se lo scopo dell’educazione è funzional-utilitaristico, il cuore dell’azione educativa è occupato soprattutto dalla dimensione dell’istruzione e dell’addestramento con tutto l’apparato metodologico che queste forme di trasmissione delle conoscenze comportano. Il problema del metodo assorbe perciò tutta la scena con l’ossessività delle procedure e con l’illusione di trovare finalmente quello perfetto e infallibile. Insomma le tecnologie dell’istruzione finiscono per porsi come una nuova ontologia orientata in senso tecno-efficientistico. E allora va bene puntare tutto sulla moltiplicazione dei pc e sulla potenza della rete.
Se invece lo scopo dell’educazione è prima di tutto umanizzante e cioè volto a far scoprire all’altro il senso di sé come persona umana e il suo posto della rete sociale nella quale vive, l’azione educativa si svolge attraverso altre piste. Per dirla con Romano Guardini, queste puntano a valorizzare soprattutto l’“incontro” tra persone e l’apertura a ciò che non è ancora, ma può essere: “Se l’uomo resta chiuso in se stesso senza mai correre il rischio di aprirsi alla realtà, diverrà sempre più misero e povero”. E allora l’esperienza cognitiva da sola non è più sufficiente.
Perché il baricentro per rilanciare l’educazione non potrebbe essere proprio quel patrimonio valoriale che la tragica esperienza del virus ha consentito a tutti noi di sperimentare?
Giu 23, 2020 | Studenti
Traendo spunto dall’incontro con il Prof. Emanuele Balduzzi, Anna Maria Canteri approfondisce il tema della narrazione come fondamento dell’identità personale.
La persona che racconta prende consapevolezza di se stessa; la persona che ascolta coltiva importanti qualità:
consapevolezza, compassione.
Chi ascolta è colui che conduce e chi conduce è colui che rinuncia al suo potere.
Anna Maria Canteri-Fricker
Giu 18, 2020 | Conferenze
Il 19 giugno 2020 l’As.Pe.I organizza il Convegno Nazionale
Attraverso un webinar docenti universitari ed esperti si confronteranno sull’impatto che la pandemia ha avuto in ambito culturale ed educativo.
Mag 31, 2020 | Appuntamenti, Conferenze, Studenti
Continuano le attività del gruppo studenti che lo scorso 15 maggio ha nuovamente incontrato in video-conferenza il Prof. Emanuele Balduzzi – docente di Pedagogia della narrazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia.
Questa volta il tema dell’incontro, sollecitato da alcuni nostri studenti, è stato il valore educativo della narrazione.
Di seguito riportiamo una breve sintesi dell’incontro
Mag 2, 2020 | Insegnanti, Letteratura
L’anno scolastico 2019-2020 sarà ricordato da tutti come uno spartiacque tra due diversi modi di ‘vivere la scuola’!!!
Uno ‘tsunami’ senza precedenti ha sconvolto il mondo della scuola e di conseguenza la vita di insegnanti e alunni che si sono trovati a dover trovare un nuovo equilibrio
Ecco allora la didattica a distanza, una nuova sfida che abbiamo accolto per necessità ma che non ha mancato, come ogni vera sfida, di risvegliare in noi l’entusiasmo e la freschezza della novità.