Lo scorso 18 febbraio 2022 abbiamo incontrato Don Marco Vanzini fisico, ingegnere, nonché docente di Teologia Fondamentale e abbiamo affrontato un tema che abbraccia molte materie di insegnamento: l’Origine dell’Universo.
Il relatore ha affrontato l’argomento da diversi punti di vista (teologico, scientifico, umanistico), fornendo molti spunti utili a chi si trova ad affrontare in classe questo tema affascinante e al contempo misterioso.
Riportiamo di seguito il link per rivedere l’intervento.
Paese: USA – Durata: 85 minuti – Regia: Nanfu Wang, Lynn Zhang
Questo è uno di quei docufilm che vale la pena vedere, anche se ancora solo in inglese, sottotitolato in italiano. La fruibilità è però garantita dalla disponibilità su Prime Video, piattaforma molto utilizzata.
L’autrice e regista, Nanfu Wang, è una donna cinese nata nella provincia di Jiangxi nel 1985; Nanfu si trasferisce per gli studi universitari negli Stati Uniti. Qui rimane, si sposa e ha il primo figlio. Solo allora si ricorda di come la sua infanzia fosse stata diversa, si rende conto di tante piccole cose che non tornano, come la vergogna di dire che aveva un fratello minore, cosa permessa dalla legge (dopo 5 anni dalla prima gravidanza, solo per le popolazioni di alcune zone rurali), ma non socialmente degna di lode e accettazione.
Anche il suo nome è significativo: Nanfu significa “Maschio pilastro della famiglia”, nome che, dato ad una bambina, dice molto dei desideri della famiglia. E a lei è andata bene: nel suo paese c’è chi si chiama “Speriamo che il prossimo sia maschio”! Il figlio maschio, infatti, in Cina assicura un aiuto ai genitori anche in età avanzata; la femmina, invece, una volta sposata, diviene “proprietà” della famiglia del marito.
Dall’introduzione del divieto di avere più figli, la nascita di una bambina è divenuta una vera e propria disgrazia. La cosiddetta “Legge del figlio unico” è stata introdotta in Cina nel 1979 e aveva lo scopo dichiarato di assicurare il benessere del popolo cinese, benessere che necessitava di una diminuzione drastica del numero di figli per famiglia.
Per ottenere ciò il governo cinese non si è fatto scrupoli: si è partiti con una propaganda assillante con tutti i mezzi di comunicazione (“Meno figli per una vita felice”) e si è arrivati ad arruolare schiere di giovani medici che, di villaggio in villaggio, hanno portato sterilizzazioni forzate, aborti e infanticidi.
Aborto e infanticidio vennero e vengono tuttora perpetrati, a onor del vero, anche ad opera degli stessi familiari, altrimenti costretti a veder distrutte le loro case; e spesso le vittime sono le figlie femmine.
Di queste cose ne abbiamo forse già sentito parlare; ogni anno, affrontando in matematica il tema dei rapporti e le proporzioni, io mi soffermo con gli alunni di seconda sul rapporto numerico maschi/femmine di età 15-24 anni in Italia, nel Mondo e in Cina. In Italia è 1,00; nel mondo 1,07; in Cina 1,16. Questi numeri decimali, di primo impatto, non dicono nulla. Risultano già più comprensibili esprimendoli in modo diverso: in Italia, nella fascia d’età succitata, si hanno 100 maschi ogni 100 femmine; in Cina ci sono 116 ragazzi ogni 100 ragazze. L’innaturale squilibrio si traduce in tensioni sociali enormi, cui il governo cerca di porre rimedio vietando di conoscere il sesso del nascituro e gli aborti selettivi, ma la cosa non si sta risolvendo.
Ciò che stupisce dal documentario, è come la propaganda e l’imposizione siano riuscite a manipolare la mente della popolazione, al cui interno troviamo pochissime menti lucide che hanno compreso e che condannano la barbarie cui sono stati sottoposti; tra tutti, commovente è la testimonianza di un artista che ha iniziato a rappresentare nelle sue opere le decine di feti abortiti al termine della gravidanza, gettati nelle discariche come rifiuti biologici e quello dell’ostetrica che oggi, per espiare le sue colpe, aiuta le coppie con problemi di fertilità ad avere una gravidanza. Molti però sono gli osservatori che accettano e si nascondono dietro il “non avevamo e non abbiamo scelta, la politica era molto severa ma necessaria”, frase ripetuta tale e quale dagli stessi familiari dell’autrice. Alcuni infine, pochi, si dicono orgogliosi di aver praticato centinaia di migliaia di sterilizzazioni forzate e aborti (raccapricciante l’intervista ad una ginecologa che rideva di come una mamma, per salvare il suo bambino ancora in grembo, fuggiva nuda con il pancione, illudendosi di salvarsi dai soldati che la inseguivano).
Le immagini, ma soprattutto i contenuti, rendono il documentario vietato ai minori; ma credo sia prezioso per noi educatori aprire gli occhi ed informarci su realtà che non sono appartenenti al recente passato, ma al presente: nel 2015 c’è stato un cambio di rotta, dovuto all’evidenza che, con un solo figlio, i giovani sono troppo pochi e non possono farsi carico della grande quantità di anziani. Il governo ha quindi deciso che la felicità si ottiene con due figli: la sostanza non cambia, e neppure la forma!
Paola Mastrocola, Luca Ricolfi – La nave di Teseo, 2021
La scuola democratica, quella che intende garantire il diritto all’istruzione a tutti gli studenti, anche a quelli privi di mezzi, ma capaci e meritevoli, come recita l’art. 34 della Costituzione (citato non a caso all’inizio del testo), insomma la scuola “progressista”, è diventata, al contrario, una fonte di disuguaglianza. Detto con le parole degli autori, la scuola (e in questo termine è ricompresa anche l’università) è divenuta, almeno negli ultimi vent’anni, “classista, ben poco democratica, non fa da ascensore sociale, non è in grado di colmare le disuguaglianze di partenza, non fa che certificare e riprodurre privilegi e differenze”.
Questa è la tesi, provocatoria e paradossale, che i due autori, nella vita marito e moglie, intendono sostenere, portando a sostegno non solo la loro lunga esperienza di insegnamento, liceale per lei e universitario per lui, ma documentandola con l’analisi di dati statistici sulla mobilità sociale messi a disposizione dall’ISTAT.
La ragione principale che ha reso la scuola pubblica incapace di essere strumento efficace di emancipazione sociale è individuata dagli autori nel progressivo calo della preparazione e dell’impegno richiesti a scuola. Insomma, avere abbassato l’asticella ha permesso certamente di avere un alto numero di diplomati e laureati, ma nello stesso tempo ha comportato una netta diminuzione della qualità delle competenze possedute soprattutto dagli studenti appartenenti ai ceti popolari, confermando i privilegi di quelli delle classi medio-alte. Questa posizione non è nuova per Paola Mastrocola, che l’aveva sostenuta già in diversi libri precedenti, tra cui il fortunato La scuola raccontata al mio cane del 2004. Da ultimo, nel 2017, era tornata sull’argomento con il saggio Ipotesi sulla disuguaglianza apparso sul sito della Fondazione Hume, di cui Luca Ricolfi, sociologo ed editorialista per grandi quotidiani, è fondatore e presidente. La novità del presente libro è che quella che veniva definita un’ipotesi, ossia che l’abbassamento scolastico danneggiasse i ceti popolari, sarebbe ora pienamente confermata dai dati, di cui il capitolo quarto fornisce una esposizione non priva di alcuni tecnicismi (che sono compiutamente presentati in appendice), ma comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
In base a tale analisi, l’autore ritiene si possa stabilire che “sul destino sociale di un ragazzo, non influiscono solo l’origine sociale, il contesto economico, la lunghezza degli studi, ma anche altri due elementi cruciali: la qualità dell’istruzione ricevuta e il grado di indulgenza nella valutazione”. La responsabilità maggiore è attribuita alla cultura progressista, soprattutto di matrice sessantottina, che ha scambiato la scolarizzazione di massa, ossia la democratizzazione dell’accesso agli studi (ideale in se stesso più che condivisibile) con il “diritto al successo formativo” e la rinuncia a ogni ideale meritocratico, e il conseguente abbassamento del livello qualitativo dell’istruzione impartita ha privato gli studenti dei ceti bassi dell’unico strumento per competere con quelli delle classi più elevate.
La conclusione degli autori è pessimistica, ritenendo difficile invertire la rotta, anche a causa del fatto che questa situazione non riguarda solamente l’Italia, ma più in generale il mondo occidentale. La speranza è che i genitori, a cui è indirizzata una lettera aperta in chiusura del volume, si accorgano di questa situazione, e pretendano una scuola dove si trasmetta seriamente la conoscenza, al riparo da tutte le mode didattiche degli ultimi tempi.
È curioso constatare come la Chiesa Cattolica abbia sempre preteso di affermare la propria voce in merito a tematiche che parrebbero non essere di propria pertinenza. Così come Leone XIII, con la pubblicazione della lettera enciclica Rerum Novarum nel 1891, introdusse la Chiesa Cattolica nella riflessione sulla cosiddetta “questione sociale”, segnando un netto scarto rispetto alla narrazione social-comunista, pure Giovanni Paolo II impostò il proprio magistero secondo una linea che potremmo definire “interventista” nei confronti della contemporaneità. In particolare, il pensiero di Karol Wojtyla si concentrò notevolmente sul “corpo” e sulla “sessualità”. Ora, ci si potrebbe chiedere cosa un papa, che vive la disciplina del celibato, possa affermare di veramente originale su tali questioni. Tuttavia, tale riflessione fu così centrale in Giovanni Paolo II che egli vi dedicò quasi tutte le udienze generali dei primi cinque anni del pontificato (dal 5 settembre 1979 al 28 novembre 1984). Per ben 129 mercoledì il papa polacco propose un percorso catechetico che prese successivamente il nome di Teologia del Corpo. Questo enorme materiale documentario nel 2016 è stato nuovamente riorganizzato e riassunto in un breve e agile compendio curato dal professore Yves Semen, tra i principali studiosi del magistero wojtyliano, ed edito nel 2017 in Italia per i tipi di Ares.
Come gli altri compendi, anche il libro di Semen è pensato principalmente per i non addetti ai lavori, senza tuttavia “annacquare” il pensiero di Giovanni Paolo II. Pur nel rispetto dell’impostazione generale delle udienze, il Compendio è arricchito di uno schema dettagliato dei temi proposti e da un lungo ma semplice glossario dei concetti fondamentali e delle espressioni chiave presenti nel volume. Quest’ultimo è infine diviso in due grandi capitoli, che riflettono sulla visione cristologica e sacramentale della corporeità. Con un continuo richiamo ai testi evangelici, in particolare al «discorso della Montagna» (cfr Mt. 5, 1-7, 29) e alla lettera paolina agli Efesini (cfr. Ef. 5, 21-33), papa Wojtyla propone una cosiddetta “redenzione del corpo” che, dalla concezione tipicamente manichea di sede del peccato originale, diventa il luogo in cui l’uomo e la donna hanno la possibilità di costruire la propria identità. Secondo la riflessione wojtyliana infatti, l’essere umano si distingue dagli altri viventi per la capacità di donarsi con dignità da «persona alla persona» (cfr. pag. 63). Riallacciandosi al magistero precedente, in particolare alla costituzione pastorale Gaudium et Spes e alla lettera enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (di cui le udienze di Wojtyla paiono una sorta di “commento approfondito”), Giovanni Paolo II afferma con solennità che la sessualità vissuta in verità è il più profondo atto dell’amore sponsale di una coppia, in cui la continenza (cfr. pag. 82 e 83), la genitorialità responsabile (cfr. pag. 143) e la sottomissione reciproca all’amato/a (cfr. pag. 99) rappresentano non una rinuncia della propria libertà, ma un’affermazione dell’amore nei confronti della propria dignità in relazione al proprio corpo (cfr. pag. 57). In quanto padrone di sé, afferma il pontefice, l’uomo e la donna possono infine donarsi in libertà nei confronti dell’altro/a e potersi concedere in questo modo all’amore coniugale.
Giovanni Paolo II condanna tutte quelle «mercificazioni del corpo», con particolare riferimento alla pornografia, in cui non solo è minata l’intimità personale del soggetto ma, ancora più profondamente, è violata la «regolarità del dono e del reciproco donarsi» (cfr. pag. 64). Per correggere tali deviazioni, infine, il papa consiglia di investire le energie su una pedagogia del corpo, che possa istruire l’uomo e la donna contemporanei a riconoscere nel corpo il «segno della persona» e, in un certo senso, accompagnarli a maturare un’adeguata «spiritualità del corpo» (cfr. pag. 61). L’obiettivo più profondo dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla sessualità è infatti quello di indicare ai fedeli cattolici, a genitori e a educatori un orizzonte pedagogico che permetta di instaurare una relazione piena e vera con la propria corporeità e, in questo modo, poter amare sinceramente anche il prossimo.
Le tematiche qui brevemente proposte sono un semplice saggio dei numerosi percorsi di riflessione che le udienze di Giovanni Paolo II hanno in qualche modo inaugurato e approfondito. Il Compendio è sicuramente uno degli strumenti più adatti non solo per comprendere la Teologia del Corpo ma anche per indagare nel dettaglio l’insegnamento di Karol Wojtyla, ancora estremamente attuale sotto molti aspetti.
Concludo questa breve recensione al Compendio citando le parole di Giovanni Paolo II che, almeno in parte, rispondono alle domande che ci ponevamo in apertura, in merito alla “legittimità di una Teologia del Corpo”. Scrive il papa:
«Il fatto che la teologia comprenda anche il corpo non deve meravigliare né sorprendere. Tanti uomini nel matrimonio cercano il compimento della loro vocazione e la via della salvezza e della santità. Cristo conduce l’uomo, maschio e femmina, sulla via della “redenzione del corpo”, che deve consistere nel ricuperare questa dignità in cui si compie il vero significato del corpo umano» (pag. 27-28).