Set 13, 2020 | Insegnanti
Nel 1321 moriva, esule a Ravenna, Dante Alighieri, poeta che, dopo 700 anni, non smette di ispirare e attrarre anche il grande pubblico. Certamente il mondo della scuola non può non approfittare di questa irripetibile occasione per soffermarsi sulla figura di Dante come uomo del suo tempo e come immortale poeta.
Abbiamo voluto interpellare su questo tema il professore Paolo Re, docente di latino e greco presso lo Iunior International Institute dell’Università degli studi di Roma che ha volentieri dato il suo contributo e risposto alle nostre domande
1. Come può un insegnante entusiasmare i ragazzi del 2020 con le opere dantesche? Solo la Divina Commedia o altre sue opere possono solleticare l’interesse degli studenti? E’ utopia pensare di proporne la lettura anche ai bambini?
Per entusiasmare al bello, occorre “mettere a contatto” gli studenti con l’opera d’arte, e quindi innanzitutto averla esperita come significativa per sé. Dunque, secondo il noto “principio di causalità” di cui parlavano addirittura Aristotele e san Tommaso (nemo dat quod non habet), il primo ingrediente necessario sarà l’entusiasmo del docente, che si spera abbia “vibrato” sintonizzandosi con Dante almeno in qualche momento! Come per qualunque argomento da trasmettere, non è sufficiente che sia “previsto da qualche progettazione”, bisogna che io insegnante abbia trovato in quei testi un quid speciale che mi fa un po’ volare: allora potrò mostrarne la bellezza agli alunni, senza peraltro pretendere che tutti entrino subito in risonanza… basta che “vedano” la mia, di risonanza!
In secondo luogo, naturalmente bisogna predisporre strategie differenti per gli alunni delle diverse età. Per studenti di scuola secondaria di primo grado – di cui sono competente – suggerirei, per citare alcune delle esperienze positive realizzate:
la lettura del canto proemiale della Commedia, (che non offre eccessive difficoltà di lessico) con calma e con il tempo di “immedesimarsi” in Dante – personaggio, magari tenendo presente la lettura di Singleton (La poesia della Divina Commedia, pp. 17-35: “Allegoria”); la memorizzazione di alcuni brani (penso a qualche sonetto della Vita Nova, o ai brani infernali degli ignavi, di Paolo e Francesca, anche di Ulisse) “lanciando la sfida” della memorizzazione, che oggigiorno sembra inizialmente impossibile, ma è a mio avviso l’unico modo di assaporare la poesia… e dà la grande soddisfazione di una scoperta di novità (posso “possedere” la poesia in modo intimo, come un qualcosa di pienamente diventato mio…).
La scelta di un testo che preveda, oltre a qualche brano originale, una riduzione narrativamente “completa” del viaggio di Dante (ne esistono numerosi in commercio). Eviterei decisamente l’antologia spezzettata, per non sentirmi porre la domanda che qualche anno fa un alunno mi ha rivolto “Prof, mia sorella al liceo legge l’Eneide in un modo strano, a pezzetti: e chiede a me che cosa succede tra un pezzo e l’altro…” Questo avveniva – come si può intuire – in una I media, in cui da anni leggiamo tutta l’Eneide in modo scorrevole, come racconto. Da questo punto di vista un limite serio per la Commedia è ovviamente l’estensione, che ne impedisce una lettura completa, nonché il fatto che leggiamo il testo originale, che in vari momenti richiede chiarimenti. Ma proprio questo piano linguistico è a mio avviso un altro grande punto di fascino: NOI POSSIAMO LEGGERE DANTE DOPO 700 ANNI… E LO CAPIAMO! Come mai? Pensandoci bene, Dante fa parte della spiegazione: ha costruito un monumento talmente bello che, da quel momento, tutti noi italiani (prima ancora di essere unificati politicamente) lo abbiamo letto e apprezzato… e non ci siamo più allontanati di molto dalla sua lingua! Grazie, padre Dante…
Per concludere con un cenno alle altre due domande: le altre opere di Dante possono essere presentate (a cominciare dai sonetti della Vita Nova e non, e innanzitutto da Tanto gentile…) a seconda della dimestichezza del docente. Idem risponderei per le classi primarie: ho conosciuto insegnanti che “lavorano” su quadri impressionisti, o su opere liriche… perché non su versi di Dante? Si tratta di costruire i percorsi di senso che rendano l’incontro possibile, perché il piccolo riconosce la bellezza immediatamente!
2. Anche dalla vita di Dante e dal suo contesto storico possiamo trarre spunti di riflessione condivisibili con gli studenti?
Certamente, si tratta della vita di un italiano antico, ma pur sempre immerso in problemi che conosciamo bene: le divisioni e i litigi, la mancanza di coesione pubblica, le lotte per l’eccellenza campanilistica, con tanto di colpo di stato e di esilio… ma anche alla ricerca della verità, con una lingua che sapeva impiegare come uno strumento perfettamente controllato, per costruire… o per colpire! Un buon padre di famiglia, che ha sofferto l’esilio e ha vissuto con una grande apertura d’orizzonti. Mi pare che la vita familiare di Dante andrebbe rivalutata: il fatto che la figlia, diventando suora, scelga il nome di Beatrice e che Pietro diventi il primo commentatore dell’opera paterna, mi pare illuminante sulla comprensione “familiare” del discorso del Nostro.
A mio avviso il sogno di Dante espresso nel De Monarchia (distinzione di ambiti tra Chiesa, Stato e cultura, come spiega bene Gilson, in Dante e la filosofia) si sta realizzando nelle migliori tendenze del mondo contemporaneo: c’è un grande desiderio di pace e di una autorità mondiale che la garantisca, c’è da un secolo e mezzo (solo!) un’effettiva distinzione del potere civile da quello religioso, c’è la possibilità di comunicare e di unirsi tramite la cultura… Aver sognato questo settecento anni prima mi pare un notevole motivo di interesse! E so che anni fa in una facoltà di Scienze politiche si studiava proprio il De Monarchia come luogo di un pensiero molto originale e interessante.
3. La Divina Commedia introduce a realtà che per i contemporanei dell’autore erano indiscutibili certezze ma che l’uomo moderno tende ad ignorare: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Quale reazione suscita l’aldilà, l’esistenza di un mondo di espiazione e premio nei ragazzi?
I concetti di premio e di punizione sono estremamente presenti nella nostra mentalità (e forse nelle mentalità di tutti gli educatori del mondo). Da questo punto di vista non mi pare che i ragazzi trovino difficoltà ad accettare la “visualizzazione” dantesca dell’aldilà. Peraltro, mi pare che siamo di fronte a una delle costanti dell’umanità, se Platone – scusandosi ironicamente di introdurre “racconti da vecchiette” – parlava esattamente di punizione eterna, di premio eterno e di situazione di purificazione, nel Gorgia, come nel Fedone o nella Repubblica; e naturalmente una situazione analoga viene descritta nel viaggio di Enea in Virgilio, nel VI libro dell’Eneide che costituisce come il canovaccio ispiratore per Dante. Proprio perché il tema “interessa” istintivamente, occorre che il docente ci pensi bene, perché le reazioni saranno immediate (l’idea che la gola possa essere un peccato mortale preoccupa immediatamente un pubblico di ragazzi normali… come si può spiegare Ciacco all’Inferno?)
4. Il cammino di Dante nella Divina Commedia è un percorso dall’infelicità dell’inferno alla beatitudine piena del Paradiso. Può quest’opera indicare una strada per assolvere al bisogno di felicità che abita ogni essere umano, soprattutto nei ragazzi e nei giovani?
Questa domanda richiede una vita per avere risposta: letteralmente una vita! Certo, se il docente si sente “in cammino” (viator) e magari ha “drizzato il collo” per tempo al pan delli angeli, del quale / vivesi qua, ma non sen vien satollo (Paradiso II, 10-12: Eucaristia e/o teologia), cioè se sta “vivendo” quello che Dante ha rappresentato, allora forse anche i ragazzi vedranno che non si tratta qui di parole, ma di uno stile di vita che esiste ancora, nel nostro mondo e con le nostre caratteristiche. Ma questa vita, proprio in quanto tale, può essere soprattutto mostrata, non direttamente trasmessa!
Miriam Dal Bosco
Set 13, 2020 | Insegnanti
di Gianni Zen (fonte: Il Sussidiario.net – 11.09.20)
L’autore, dirigente scolastico, vede nell’imminente inizio delle lezioni il ritorno alla scuola viva, dove la relazione fisica non è sostituibile da nessuna risorsa tecnologica. E lancia la proposta agli studenti di tenere un diario di bordo come occasione di riflessione su questi tempi particolari di scuola e di vita.
Dopo il lockdown, ritorna la scuola di vita, di vita piena. Sarà difficile, al di là di tutti gli sforzi, gli investimenti, le precauzioni. Ma non c’è alternativa alla scuola viva, fatta di incontri, di sguardi, di sentimenti, prima che di conoscenze e competenze da valutare.
E non c’è tecnologia che tenga, perché la scuola è, appunto, anzitutto relazione fisica. Cioè si cresce insieme, che siano piccoli o grandi. La tecnologia aiuta, può aiutare e integrare, ma mai sostituire due sguardi che si incontrano.
Quest’anno anche la scuola, come tutti gli altri contesti sociali, sarà cioè una palestra vivente di responsabilità, fatta di regole, anche di divieti, ma di una responsabilità che ci si augura sia capace di garantire e di prevenire il più possibile la salute di tutti.
Il rischio zero, lo sappiamo, non esiste, come ci siamo ripetuti tutti. Allora dobbiamo disporci, come in qualsiasi altro contesto, a convivere col rischio, e a confidare in ciascuno per il rispetto delle norme elementari. Auguriamo dunque un felice rientro a scuola, ma con questo pensiero di sottofondo.
Le scuole, con i presidi, i docenti, il personale, assieme agli enti locali, hanno lavorato duramente, in questi mesi, districandosi tra mille carte e dichiarazioni, per preparare questo rientro a scuola. Il vero punto critico rimane il trasporto, i trasporti pubblici. Giusto raccomandare tanta prudenza e attenzione.
Nelle famiglie si stanno vivendo questi momenti con tanta apprensione. L’importante è convincere e convincersi del rispetto delle norme e regole. Cioè fare la propria parte, sul piano del controllo preventivo, ma anche su quello formativo. Perché la scuola è scuola.
E a livello formativo, scandito per ordinamento di scuola e poi per i diversi indirizzi, tutti metteranno l’accento sulla fragilità come componente di sostanza della nostra vita personale e sociale. Fragilità come senso del limite, e come domanda di assunzione di responsabilità a livello di conoscenze, di comportamenti e di relazioni. Quanta scuola, in questa situazione, quanta scuola di qualità si riuscirà a realizzare? Eppoi, in presenza o, nel caso, anche a distanza?
Spetta qui ai docenti la revisione, anche il ripensamento, della programmazione didattica e culturale. Ed è bene che questa venga presentata e discussa con i ragazzi, anzitutto, ma anche con i genitori. Con un piccolo-grande risultato: sarebbe bello che i ragazzi iniziassero a scrivere una sorta di diario di bordo, in modo da lasciare traccia di questa esperienza di vita. Anche questa è scuola.
Il lockdown prima, e ora questo nuovo modo di vivere la scuola, non devono, prima o poi, scivolare via, per essere infine rimossi, ma sono momenti che è giusto interiorizzare, cioè far diventare opportunità di ripensamento di conoscenze e abitudini, anzitutto mentali.
Set 13, 2020 | Studenti
Fernando Muraca, Città Nuova Editrice
“La vita può cambiare in un attimo quando meno te lo aspetti”: con queste parole Erika (soprannominata Squillo per i suoi modi emancipati) offre all’amica Veronica – e indirettamente a noi lettori – una delle chiavi interpretative della realtà e di questo libro singolare, scritto dal regista e sceneggiatore Fernando Muraca.
La trama è molto semplice: una ragazza quindicenne decide di raccogliere la sfida lanciata dalla sua prof e di fare l’esperimento di prescindere per trenta giorni dai social, trascrivendo sul suo diario ciò che accade, fuori e dentro di sé. Ne risulta una vicenda intrigante, che ti prende dall’inizio alla fine, ricca di episodi divertenti, di colpi di scena e di cambiamenti, dapprima lievi, poi sempre più profondi.
Attraverso gli occhi e il cuore di questa adolescente non comune e tuttavia normale (è sorprendente la capacità dell’Autore di immedesimarsi nel mondo interiore dei giovani, con le loro visioni, abitudini, legami, paure e aspettative…) il lettore assiste e partecipa a una vera e propria rivoluzione copernicana: gli sembra di “uscire da una bolla”, scoprire la realtà (quella che si tocca e che ha odore), “vedere” le persone, permettendo di conseguenza all’amicizia (quella vera) di fiorire. Emblematici, a questo riguardo, i cambiamenti nei soprannomi che Veronica usa affibbiare alle persone intorno a sé: Squillo diventa semplicemente Erika, mentre Anna (l’amica creduta tale) viene ribattezzata Codardia. E ce n’è per tutti… (compreso LGBT, il compagno verso il quale Veronica si era fatta qualche illusione, prima di scoprirne l’orientamento omosessuale…).
Al rituale dei soprannomi e del loro cambio non sfugge neanche la prof responsabile dell’avvio dell’esperimento: inizialmente chiamata La Balena Bianca, con allusione impietosa alla sua corporatura, si svela progressivamente agli occhi di Veronica, fino a diventare semplicemente La Bianca, un’insegnante non perfetta, con le sue vulnerabilità, ma appassionata dei suoi ragazzi, credibile agli occhi dei giovani. Una prof, come ammette la stessa Veronica, che “ti guarda e ti vede”, capace di spogliarsi degli abiti del docente per mettersi al tuo fianco.
Personaggio, dunque, degno di nota per chi ha fatto della docenza il suo lavoro.
Il libro di Muraca è certamente supportato da una profonda conoscenza dell’influenza dei social sugli stili di vita e i modi di pensare di giovani e adulti (come prova anche la bibliografia che l‘Autore ha posto in appendice), ma l’intento pedagogico non prende mai il sopravvento: Liberamente Veronica non è un saggio, rimane un romanzo e come tale va letto.
Tornando alle parole di Erika citate all’inizio, ciò che colpisce in questa storia è il fatto che dal coraggio di cambiare qualcosa nella propria vita dipendono effetti insospettati, anche nelle persone intorno a noi, la cui vita è inscindibilmente intrecciata alla nostra. Ma non voglio togliere al lettore il gusto di scoprire l’evoluzione dell’intreccio…
Così come non voglio togliere la sorpresa di scoprire chi è veramente Veronica. Confesso che mi sono fatto questa domanda fin dalle prime pagine del libro: la protagonista di questo diario è reale o è una semplice finzione letteraria? A svelare l’enigma è lo stesso Autore nella postfazione al libro. E anche in questo caso la risposta non è scontata…
Set 13, 2020 | Cineforum, Studenti
Paese: Francia – Durata: 96 minuti – Regia: Yvan Attal
Un professore emerito della Parigi benestante, legato alla retorica classica e noto per essere un gran provocatore dai modi burberi, e una giovane ragazza di origini arabe che proviene dai sobborghi parigini e sogna di diventare un avvocato.
Questi i protagonisti di una pellicola divertente e profonda allo stesso tempo, che mette al centro il potere della parola e ha una forte missione pedagogica, trattando tematiche come l’accettazione della diversità e l’integrazione. L’incontro tra i due avviene in maniera brusca durante la prima lezione di diritto in cui Neila, matricola di giurisprudenza, arriva in ritardo e viene pubblicamente umiliata dal professore, Pierre Mazard, che la attacca facendo appello alla sua provenienza etnica. Da questo scontro nascerà un rapporto speciale, non sempre facile, che si rivela prezioso e arricchente per entrambi i protagonisti. Inizialmente il professore si avvicina alla ragazza con un intento tutt’altro che altruista: trovatosi di fronte a una commissione disciplinare a causa del suo comportamento razzista, gli viene offerta la possibilità di redimersi preparando Neila al torneo universitario di retorica.
Dopo un primo momento di diffidenza da parte della ragazza, i due iniziano a conoscersi e a fidarsi l’uno dell’altro. Lei impara a leggere gli atteggiamenti scorbutici del professore come delle provocazioni che servono per metterla alla prova, lui escogita delle strategie alternative per calare i suoi insegnamenti di retorica in contesti pratici, come la metropolitana. Questi stratagemmi rimandano all’importanza, nel processo di insegnamento e apprendimento, di proporre sfide concrete che rappresentano una possibilità di crescita per l’allievo. Tenendo fede alla massima delle lezioni di retorica “la verità non importa, ciò che importa è avere sempre ragione”, Neila vince una gara dopo l’altra qualificandosi alla finale di Parigi. In questa occasione, scopre la verità sul motivo per cui Mazard si è preso cura della sua formazione e decide di non presentarsi all’ultima prova. Grazie alle parole del suo ragazzo, Mounir, che la esorta a non mollare dopo tutto ciò che con fatica ha realizzato, inizia una corsa contro il tempo che porterà Neila a testimoniare per difendere Pierre davanti alla commissione d’inchiesta. Dalle parole della ragazza traspare tutta la sua preparazione retorica nella difesa di un accusato, in un discorso che inizia con una serie di critiche, ma si trasforma in un ringraziamento a colui che le ha permesso di conoscere la sua vocazione di avvocatessa.
È alla fine del film che si scorgono i frutti della relazione educativa tra Pierre e Neila, quando il professore rincorre la giovane per ringraziarla ripetendo una frase pronunciata da lei: “quando si parla bene ci si dimentica come dire le cose in maniera semplice”. Una relazione che ha portato Neila a coronare il suo sogno esercitando la professione di avvocato con consapevolezza e professionalità e che, indubbiamente, ha fatto bene anche al cinico professore, che è diventato più umano. Perché, si sa, la relazione educativa arricchisce entrambi i soggetti che la costituiscono, in un modo o nell’altro. Nonostante i suoi modi, Pierre è riuscito a trasmettere a Neila la passione per la sua materia e la tenacia nell’affrontare le sfide, dandole fiducia e credendo in lei. Caratteristiche, queste, che fanno parte della missione dell’insegnante, chiamato a stare dalla parte degli alunni e a sostenere le loro passioni e inclinazioni perché possano trovare il loro posto nel mondo.
Lug 29, 2020 | Insegnanti
Isabella Milani, Vallardi edizioni.
nsegnare è un’arte e, in quanto tale, non si può insegnare. Ma quello che ci offre la prof.ssa Barbara Serra, sotto lo pseudonimo di Isabella Milani, lo si può definire un vero manuale dell’insegnante.
Ottima lettura per insegnanti alle prime armi (da leggere il capitolo “Dedicato agli esordienti: la vostra prima volta in classe”), diviene uno strumento prezioso di riflessione anche per docenti più navigati: come ci vedono i nostri alunni? Come approcciare l’alunno oppositivo? Come decidere quali argomenti affrontare nella mia materia? Come conquistare l’attenzione degli studenti?
Queste ed altre domande riguardano maestri e professori che insegnano da un mese ma anche da vent’anni e l’autrice fornisce suggerimenti frutto della sua pluridecennale esperienza in classe.
Il linguaggio, dichiaratamente diretto e informale, lo rende adatto anche ad una lettura estiva.
NB: Isabella Milani sarà prossimamente ospite del Centro Studi! Keep in touch!
Miriam Dal Bosco