La relazione di coppia oggi: tra bisogno di auto realizzazione e nuove sfide educative

La relazione di coppia oggi: tra bisogno di auto realizzazione e nuove sfide educative

Con l’avvio del nuovo anno scolastico, riprendono anche le attività del Centro Studi per l’Educazione!

Venerdì 7 novembre 2025 alle ore 20:45, la dott.ssa Mariolina Ceriotti Migliarese, già nostra ospite, parlerà della relazione di coppia in prospettiva educativa, un incontro dedicato a educatori e genitori.

L’incontro si terrà presso il teatro delle Scuole Ed.Res. Via Calatafimi, 12 Verona – (ingresso carraio da via Aspromonte).

Sarà possibile ricevere l’attestato di partecipazione, previa richiesta, per informazioni potete contattarci all’indirizzo mail 
segreteria@centrostudieducazione.it


Educare alla bellezza dell’affettività: una sfida attuale (Newsletter n.20 gennaio-febbraio 2024)

Educare alla bellezza dell’affettività: una sfida attuale (Newsletter n.20 gennaio-febbraio 2024)

Intervista a don Daniele Dal Bosco, parroco, insegnante di Religione Cattolica e tutor Teen Star.

Da diverso tempo, inizialmente nelle scuole medie ma poi anche alle elementari e a catechismo, si sono introdotti progetti di educazione sessuale o educazione all’affettività, in cui vengono chiamati esperti, da medici a psicologi e sessuologi, per introdurre e guidare i bambini e i ragazzi al mondo della relazione con l’altro sesso. Però non è sempre stato così. 

  1.  Cosa significa “Educazione all’affettività”, “Educazione sessuale”? Ce n’è davvero bisogno?

Il termine educazione indica la necessità tipica di ogni essere umano di essere introdotto alla conoscenza della realtà da parte di chi è più grande di lui perché non può farlo da solo (questo differenzia l’uomo dagli animali che si trovano invece già con l’istinto che gli dice tutto ma anche senza una vera libertà di scelta). Allo stesso tempo l’originale latino “ex-ducere”, dal quale il termine italiano deriva, indica che per essere vera e non indottrinamento l’educazione deve aiutare a cogliere e scoprire la reale struttura della persona dandogli strumenti perché si possa creare un giudizio sulle cose.

Anche per quello che riguarda l’affettività e la sessualità, che sono i fondamenti della persona in quanto ognuno desidera amare ed essere amato, è fondamentale che chi si affaccia alla vita possa essere aiutato a comprenderne la bellezza e complessità. Quando ero adolescente ricordo di aver visto una mostra di miei coetanei che speravano “Ci fosse un Maestro…” per scoprire la vita e oggi certamente l’esigenza non è venuta meno, anzi. Inoltre, il bisogno non c’è solo da parte di chi viene educato, ma anche dell’educatore perché, nel farlo, riscopre anche per sé la bellezza e la verità di quanto vuole trasmettere;  come devono fare gli insegnanti che quando spiegano qualcosa agli alunni la devono prima di tutto chiarire a sé stessi.

2.  Esiste un “troppo presto” o un “troppo tardi” per affrontare la questione?

A mio parere il rischio prevalente di oggi è che si arrivi troppo tardi per mancanza di una proposta da parte degli adulti e questo, come sempre più dimostrano le risposte che i ragazzi danno durante i percorsi Teen Star che propongo a scuola e in parrocchia, li porta a farsi un’idea o attraverso il confronto con i coetanei o peggio ancora attraverso internet e i social media che spesso hanno una visione riduttiva se non distorta della questione.

3.  Qual è il compito dei genitori? E’ bene che se ne occupino o è meglio che ne stiano fuori?

Quando si parla di educazione i genitori non possono mai chiamarsi fuori perché, anche lo volessero fare, i figli vedono l’impostazione e le scelte che fanno e questo è già una proposta.  Come diceva papa Benedetto XVI, anche se possono far apparire il contrario, in realtà, nel loro intimo, i ragazzi e giovani non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Ma per citare un altro Pontefice, Papa Francesco, per educare un ragazzo ci vuole un villaggio. Quindi è fondamentale che, oltre ai genitori, ci sia una rete educativa fatta da scuola, parrocchie e altre agenzie educative dove  possano essere supportati e consigliati nel loro compito che rimane, però, insostituibile. Un rischio che posso però vedere sta nell’utilizzare un tipo di proposta deduttiva tipo “queste sono le regole”, “questo è il giusto e tu devi adeguarti” che rischia di far percepire il tutto come un’imposizione dall’esterno; una proposta adeguata, invece, dovrebbe partire dalla fiducia che il ragazzo ha un cuore fatto per riconoscere la verità e quindi aiutarlo a conoscersi nei propri aspetti biologici, intellettuali, emotivi, sociali e spirituali, per capire chi è e perché esiste. Come diceva William B. Yeats, quando si educa qualcuno si tratta non di riempire un secchio ma di accendere un fuoco.

D’altronde fa parte dell’esperienza educativa che, dopo che si è fatto di tutto per proporre ciò che si ritiene vero per la vita, si deve lasciare il tempo e la libertà all’educando di verificare e scegliere se seguire questa proposta. In fondo anche Dio stesso è arrivato a dare la vita per la nostra salvezza, ma proprio nel farlo ha rispettato la nostra libertà di accoglierlo o meno.

4.  Come affrontare la difficile questione dell’accesso alla pornografia da parte dei ragazzi ma spesso, purtroppo, anche dei bambini? 

Certamente siamo di fronte a uno sdoganamento completo della fruizione del porno trasversalmente a età, genere e area geografica e, data la latitanza educativa degli adulti, spesso rischia di essere l’unica idea che i nostri ragazzi si fanno in tema di sessualità. Direi, intanto, che sarebbe opportuno non fornire di devices elettronici i nostri bambini, in quanto non ne hanno bisogno, anzi, più sono a contatto con la realtà concreta, meglio è. In secondo luogo, bisogna che i bambini e i ragazzi non siano lasciati soli, ma abbiano la vicinanza e testimonianza di genitori maturi affettivamente e sessualmente, cioè in grado di mostrare che la pornografia è una riduzione e contraffazione dell’amore e non crea un vero rapporto ma chiude in una solitudine che non soddisfa veramente se stessi e non rispetta l’altro.

5.  L’approccio cristiano ha ancora qualcosa da dire? Può competere con il mondo dei social che dà messaggi molto più immediati e gratificanti?

La proposta cristiana non solo nel campo sessuale e affettivo, ma nella sua completezza, ha dalla sua due grandi alleati: la realtà che non si fa da sé, ma è fatta da Dio e il cuore dell’uomo che è anch’esso domanda di compimento infinito. Per cui rimane vero che il mondo dei social può essere più immediato e gratificante, ma, come dice il profeta Aggeo nella Bibbia, “Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame…” per cui, dopo un momento di estasi, si ricade in una solitudine ed insoddisfazione maggiore. Per usare parole più recenti, la stessa insoddisfazione nella canzone di Lady Gaga “Shallow” si manifesta nella domanda “Dimmi ragazzo, sei felice in questo mondo moderno?” 

Il cristianesimo permette di guardare tutto nella sua completezza, un po’ come ammirare un quadro non standogli a due centimetri per vederne un pezzetto, ma alla distanza giusta per vedere sia quel pezzetto sia la bellezza della totalità dell’opera godendone molto di più. Sta a noi cristiani fare per primi esperienza di questa più grande soddisfazione nel vivere (il centuplo che Gesù ha promesso a chi lo segue) e, a partire da questa certezza, continuare a proporla e testimoniarla a tutti, giovani e ragazzi compresi, certi che hanno un cuore fatto per poterla riconoscere e accogliere.  

Nei percorsi Teen Star mi sorprende, nei ragazzi, il passaggio da un iniziale disinteresse e scetticismo sulla loro utilità, pensando di aver già compreso tutto, ad una curiosità e sorpresa nel vedere adulti che si affiancano a loro spalancandogli una complessità e ricchezza di un mondo che non sapevano potesse esistere. Tanto da tempestarti di domande, avendo trovato finalmente un luogo dove porle e delle risposte.

Sappiamo, infine, noi educatori che c’è già Uno che nel cuore di ogni uomo ha impresso la Sua immagine e somiglianza e che non cessa anche oggi di cercarli e chiamarli a sé e, quindi, anche noi operiamo non da soli ma cooperando all’opera di un Altro che sempre ci precede e accompagna, avendo già vinto il mondo.

Miriam Dal Bosco

«Carlo Acutis, il mio studente beato. Era come un pezzo di cielo» – (Newsletter n.3 ottobre 2020)

«Carlo Acutis, il mio studente beato. Era come un pezzo di cielo» – (Newsletter n.3 ottobre 2020)

A un mese dalla sua canonizzazione riproponiamo un interessante articolo su San Carlo Acutis il primo millenials santo.

di Gian Guido Vecchi (fonte: Corriere della Sera – 11.10.20)

Domenica 11 ottobre è stato dichiarato beato Carlo Acutis, lo studente milanese morto a soli 15 anni, primo santo fra i cosiddetti millenials.

Nell’intervista al sacerdote che gli faceva da assistente spirituale nel liceo da lui frequentato, Carlo viene descritto come un ragazzo che oltre a un forte impegno nello studio dimostrava una grande generosità e gentilezza nei confronti dei compagni e delle persone che incontrava ogni giorno. In particolare possedeva, a detta di tutti, una straordinaria, per la sua età, competenza informatica, che ha saputo mettere generosamente a disposizione della scuola per illustrarne le attività di volontariato. Grazie a questa sua passione per il computer, che lo accomuna a tanti suoi coetanei, si è parlato di lui come del futuro patrono di internet. Quello che della vita di questo giovanissimo ha colpito tanti è stata la capacità, certamente sorretta dalla fede, di vivere in profondità e di coniugare in modo armonioso quelle che sono le dimensioni dell’esistenza di ogni normale ragazzo del nostro tempo, famiglia, scuola, amicizie, volontariato, sport e nuove tecnologie. In questo senso la sua testimonianza è un invito per ogni educatore a guardare con fiducia agli adolescenti che incontra nella sua attività e a vivere con ancora più passione la sua missione.

«Aveva una finezza, una signorilità innate… Per dire: c’era il portinaio, Mario, una figura storica del Leone XIII. Carlo, come altri ragazzi, lo salutava ogni mattina all’ingresso. Però capitava che talvolta entrasse dalla piscina, a lato. Mario mi ha raccontato che in quei giorni “il Carlo” andava a salutarlo all’intervallo, quasi scusandosi di non averlo fatto prima». Il padre gesuita Roberto Gazzaniga era assistente spirituale dei liceali in quegli anni, una figura analoga a quella della guida negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio. E lo ricorda bene, Carlo Acutis, il ragazzo milanese di 15 anni morto nel 2006 di leucemia fulminante che ieri, nella Basilica Superiore di Assisi, è stato proclamato solennemente «beato».

Che ragazzo era Carlo?
«Un ragazzo capace di sorridere e scherzare, una presenza positiva. Una di quelle persone che, quando ci sono, tu stai meglio. Che ti aiutano a vivere, a livello umano e di fede. Lo vedevo e mi veniva da dire: questo è un pezzetto di cielo per gli altri ragazzi».

Si è ripetuto: un ragazzo normale. È così?
«Sì, ma di una normalità, una quotidianità dotata di spessore. Carlo era dotato. Molto. Sia dal punto di vista intellettuale — vidi i suoi libri di informatica: erano testi universitari — sia da quello spirituale. E sa una cosa? A quell’età c’è molta competizione. Si tende a non sopportare chi si distingue. Eppure con Carlo non era così. Aveva carisma. Era anche un bel ragazzo, le compagne lo notavano… Eppure non c’erano invidie. Non ho mai visto nessuno che litigasse con lui. Gli volevano bene. Una capacità rara di coltivare i rapporti umani. Uno dei compagni che a scuola faceva più fatica mi chiese di servire messa al funerale, Carlo lo aveva aiutato».

Già si parla del primo santo dei «millennials» e patrono di internet. Che modello è per i coetanei?
«Il modello di un testimone che evangelizza per come è, con il suo esempio. Non un credente “militante” che fa proselitismo. Parlando con il suo parroco, ho saputo che andava in chiesa ogni giorno, per l’eucaristia e la preghiera personale. Faceva volontariato, aiutava i più poveri e disagiati. Tutto questo si notava perché c’era e si vedeva, ma non era mai ostentato».

La discrezione…
«Sì, uno che vive la sua fede senza nasconderla né gettarla sul banco, che non la fa pesare e non accende nessuna luce su se stesso. Ma i santi sono questi: gente che vive la realtà quotidiana con impegno e una certa disinvoltura. Con il sorriso, con naturalezza. Per lui era come respirare. E non si tirava mai indietro».

Ad esempio?
«Ricordo che gli chiesi di preparare un Powerpoint, lui che era così impegnato nella carità e capace al computer, per illustrare le attività di volontariato del Leone XIII, il doposcuola, la mensa per i poveri, l’insegnamento dell’ italiano agli stranieri… Aveva appena iniziato la quinta ginnasio, era un compito che avrebbe spaventato tanti, da proiettare in tutte le classi. Lui ci si gettò a capofitto. Non ha potuto concluderlo. Il venerdì in classe non c’era. Una brutta febbre, il suo vecchio pediatra capì e disse di portarlo subito al San Gerardo di Monza. Ma non ci fu nulla da fare».

Morì in tre giorni…
«Lo portarono a casa. Era vestito con una tuta semplice. Ricordo che dissi alla mamma: troverà quello che ha scritto. Più tardi mi mostrò un libretto. Carlo, a tredici anni, scriveva che la vita è una cosa bella e impegnativa e non la si costruisce su ciò che è effimero. Aveva elencato una serie di virtù e disegnato una montagna dove si elevavano gradualmente. Un ragazzo di tredici anni, si rende conto?».