Ott 15, 2020 | Senza categoria
Paese: Francia – Durata: 97 minuti – Regia: Christophe Barratier
Un gruppo di ragazzi vivaci, un direttore autoritario e un insegnante premuroso: sono questi gli ingredienti di Les Choristes, pellicola del 2004 di Christophe Barratier, che racconta di quanto una relazione di qualità e davvero umana aiuti gli alunni a scoprire la bellezza della vita.
Siamo alla fine degli anni Quaranta in Francia, all’interno di un collegio per bambini orfani di guerra, in cui la punizione e l’intolleranza degli adulti regnano sovrani, fino a quando viene assunto in qualità di sorvegliante Mathieu (Gérard Jugnot), ex compositore di musica rimasto disoccupato.
In una delle scene iniziali il professore entra nel dormitorio dei ragazzi e al suo passare tra i letti tutti si posizionano sull’attenti e immobili, solo un bambino non si accorge della presenza del sorvegliante e continua a cantare e a suonare l’armonica. Constatando anche in altri alunni la predisposizione al canto, Mathieu decide di dare vita ad un coro, nonostante le obiezioni del direttore.
Da quest’attenzione rivolta agli interessi dei suoi allievi, ha inizio un’azione didattica volta a cogliere e a valorizzare le loro qualità e predisposizioni ancora acerbe, ma che con il sostegno e la guida di un’insegnante zelante si sviluppano e fioriscono. Mathieu è un educatore un po’ goffo ma dalle maniere delicate, che si prende cura dei suoi studenti adottando uno sguardo che va al di là del loro iniziale atteggiamento ribelle. All’interno della classe riesce a dedicare l’attenzione ad ogni singolo ragazzo e grazie a questo atteggiamento personalizzato aiuta ognuno a trovare, all’interno del coro, il ruolo che più gli si confà. In particolare riesce a mettere in luce il talento eccezionale di uno dei ragazzi, Morange, che nonostante l’atteggiamento in principio ostile e chiuso, finisce per diventare direttore d’orchestra.
La musica diventa lo strumento attraverso cui la speranza nei ragazzi si riaccende e illumina la loro vita all’interno del collegio, luce che però è contrastata dalla volontà di prevaricazione e imposizione del direttore che continua a rimanere cieco di fronte alla bellezza dei giovani in fiore. Il suo tono autoritario esalta ancora di più il carattere al contrario autorevole del professore di musica che ispira rispetto e fiducia nei ragazzi, pone la sua autorità al servizio dei suoi studenti che finalmente conoscono una relazione positiva e carica di stima e affetto. Questi ultimi tratti sono alla radice del gesto con cui i ragazzi salutano il loro insegnante quando, in una delle ultime scene, è costretto a dimettersi. Un insegnante dal cuore grande, che non ha paura di spendersi per le persone che gli sono affidate e che addirittura adotta uno dei più piccoli fanciulli che tutti i sabati attendeva speranzoso il ritorno dei suoi genitori.
Un’ultima parola deve essere spesa per sottolineare quanto sia la riflessività del professore ad accompagnare ogni sua azione, questo filo conduttore è anche l’ingrediente per una pratica di qualità e che viene offerto allo spettatore per entrare più in profondità nella mente e nel cuore del professore.
Claudia Zenone
Lug 21, 2020 | Senza categoria
Ho tra le mani il bel volume, curato da Emanuele Balduzzi, che raccoglie diversi
contributi in onore di Giuseppe Mari, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale
presso l’Università Cattolica di Milano, prematuramente scomparso nel novembre del 2018.
Ritengo un dovere di affetto e di giustizia ricordare questa straordinaria figura di
intellettuale, di padre di famiglia e di amico, che tanto ha significato per il Centro Studi per
l’Educazione.
Non mi soffermerò sulle tematiche della sua lucidissima riflessione pedagogica,
ampiamente descritte nel volume succitato, quanto sulla relazione e sull’influsso che
Giuseppe Mari ha avuto sulla storia di questa nostra iniziativa formativa.
Personalmente l’avevo conosciuto nel maggio o nel giugno del 2015, grazie a un
comune amico, che ci aveva presentati in occasione di una conferenza sul perdono, tenuta
da Giuseppe a un gruppo di coniugi di Verona. Ricordo bene la simpatia e la consonanza di
pensiero che si instaurarono immediatamente tra di noi al termine di questa conferenza e…
davanti a un gustoso risotto all’amarone (sì, Giuseppe era anche un buongustaio!).
Da quel primo incontro presero il via diversi suoi interventi (conferenze,
ricerche-azione, ecc.) per la formazione di docenti e genitori sul territorio veronese.
Nulla di più ovvio, quindi, che ricorrere al suo consiglio quando, nell’autunno del 2017,
insieme a Paolo Campoccia, cominciò a concretarsi l’idea di dar vita, a Verona, al Centro
Studi per l’Educazione.
Rimane incancellabile il ricordo dell’autentico entusiasmo con cui Giuseppe accolse,
approvò e incoraggiò questa iniziativa. Così come rimangono indelebili e “fondative” alcune
linee-guida che lui suggerì per il lavoro del Centro Studi:
– non posizionarsi nell’ambito accademico, già inflazionato di proposte formative, ma
puntare piuttosto a promuovere una rete di insegnanti “riflessivi”, appassionati del proprio
lavoro e desiderosi di chiarirne sempre meglio i presupposti;
– approfondire le questioni antropologiche e pedagogiche di fondo, lasciando in secondo
piano (almeno all’inizio) gli aspetti più propriamente tecnici dell’insegnamento, già
abbondantemente affrontati da altre istituzioni formative;
– dedicarsi soprattutto ai giovani, a coloro che si stanno preparando all’insegnamento o
hanno appena cominciato a farlo.
L’ultimo aspetto era particolarmente caro al professor Mari, che guardava con
ammirazione e simpatia (oserei dire con “tenerezza”) al nostro gruppo di studenti, che si era
costituito in modo molto naturale. Di più: nell’estate del 2018 si offrì di venire a tenere per
questi giovani (gratuitamente, ci tengo a sottolinearlo) alcune lezioni per aiutarli a districarsi e
orientarsi nel complesso panorama pedagogico contemporaneo.
Purtroppo la sua prematura scomparsa, pochi mesi dopo, ha impedito la realizzazione
di quel progetto, che non è stato tuttavia accantonato, anche come dovere di onorare la
memoria di chi lo propose.
Devo anzi confessare che, non appena ricevuta la notizia della morte di Giuseppe,
insieme allo sconcerto, al dolore e contemporaneamente alla certezza di saperlo in
compagnia di quel Dio fatto Uomo, intorno al Quale ruotava tanta parte del suo pensiero e
del suo impegno di vita, si affacciò alla mente l’idea di non lasciarne cadere il lascito.
Una prospettiva, quest’ultima, che è diventata certezza durante il funerale, celebrato
a Roncadelle, al termine del quale ha preso la parola la moglie di Mari: con compostezza,
ma con fermezza e vigore, la cara signora Cinzia ha invitato i presenti a raccogliere
l’eredità intellettuale del marito, sviluppandone tutte le potenzialità.
Ebbene, considero il mio impegno personale nel Centro Studi per l’Educazione, oltre
che una manifestazione della mia passione per l’insegnamento e del desiderio di
approfondire e condividere la riflessione su di esso, anche una risposta a questa decisa
richiesta.
Grazie, Giuseppe!
Daniele Marazzina
Lug 21, 2020 | Senza categoria
Paese: Francia – Durata: 104 minuti – Regia: Nicolas Philibert
La cinepresa del regista Nicolas Philibert filma le vicende di una scuola rurale francese in tutta la loro naturalezza e genuinità, senza alcun artificio.
Si tratta, infatti, di un film documentario che permette allo spettatore di seguire, passo dopo passo, le vicissitudini di un maestro sulla soglia della pensione, Georges Lopez, impegnato ad accompagnare una pluriclasse composta da bambini e adolescenti. Un contesto particolare come questo richiede all’insegnante un approccio altamente personalizzato, lavorando sul riconoscimento delle differenze e dei talenti di ciascuno. Spesso lo si vede abbassarsi all’altezza dei suoi allievi, proponendosi non come un’autorità che parla sempre dall’alto, ma come una presenza che sa porsi al livello dei suoi studenti per supportarli nella loro crescita.
Il film si apre con l’immagine di una gelida bufera di neve, posta subito in contrapposizione con quella di un’aula scolastica dal clima caldo e accogliente. Questa scena iniziale può essere facilmente letta attraverso una lente metaforica: il mondo in cui il bambino è immerso e sul quale è chiamato ad operare, in maniera unica e speciale, è indiscutibilmente complesso; la scuola, dunque, si presenta come quel luogo sicuro che prepara ad affrontare la vita nel migliore dei modi, fornendo tutti gli strumenti culturali e formativi necessari.
Un’altra immagine, anch’essa significativa per la sua valenza simbolica, è quella di due tartarughe che si spostano con la loro naturale lentezza all’interno di un’aula scolastica, per poi giungere ai piedi di un mappamondo, che osservano con interesse e curiosità; anche questa immagine si presta ad una serie di riflessioni: così come le tartarughe impiegano diverso tempo per arrivare di fronte al globo terrestre, allo stesso modo il percorso che i bambini devono affrontare per conoscere la realtà è indubbiamente lungo e non privo di difficoltà; conseguentemente, gli insegnanti, in quanto educatori, sono sì chiamati a guidare i propri studenti alla comprensione della realtà e alla scoperta delle verità ultime dell’esistenza umana, ma non senza rispettare i loro tempi e salvaguardare la loro libertà interiore, evitando forzature e precocità. Inoltre, la scuola ha il compito di creare le condizioni affinché gli studenti possano sperimentare lo stupore di fronte al mondo che li circonda in maniera naturale e spontanea, perché è proprio dallo stupore che scaturiscono le cosiddette “domande fondamentali”, necessarie per crescere e maturare. In particolare, in una società come la nostra, fortemente radicata sul relativismo, o su un generalizzato scetticismo, educare i giovani ad uno sguardo che sia realista, coerente, sincero e aderente alla realtà risulta essere di capitale importanza.
Un’altra scena interessante è quella in cui il maestro Lopez invita un bambino ad elencare a voce alta la progressione dei numeri. In questo modo l’allievo scopre praticamente da solo i numeri nel loro susseguirsi; solo quando non è più in grado di procedere oltre, il maestro gli dà qualche piccolo suggerimento per proseguire. L’insegnante, dunque, non si limita ad una mera trasmissione di nozioni, ma guida il bambino verso un naturale e graduale possesso della conoscenza, partendo da ciò che egli già sa.
Una postura che caratterizza il maestro Lopez è certamente la disponibilità all’ascolto, sia con i bambini che con i genitori. In particolare si può evincere da diversi dialoghi come egli non abbia timore nell’affrontare temi impegnativi con i propri alunni, come può essere la malattia e la sofferenza. Inoltre, quando si presentano situazioni problematiche, come litigi ed incomprensioni, il maestro Lopez dà voce alle dinamiche che si sono venute a creare ed esterna i punti di vista e le posizioni dei bambini coinvolti, in modo tale che possano riflettere sull’accaduto e comprenderne i meccanismi. Adoperando questo ruolo di moderatore e aiutando i bambini a decentrarsi, il maestro li mette nelle condizioni di poter gestire positivamente i futuri conflitti. Non a caso l’insegnante non sminuisce o sottovaluta le cause dei litigi, ma li affronta con serietà. Il confronto, così gestito, si trasforma in una preziosa occasione di crescita cognitiva, emotiva e sociale.
L’insegnante, quindi, aiuta i bambini a decentrarsi e ad assumere una postura empatica. L’esempio che offre l’adulto è indubbiamente fondamentale: si può dire, infatti, che il maestro Lopez abbia uno stile comunicativo che incarna una profonda empatia, sensibilità e delicatezza, qualità certamente non incompatibili con la fermezza.
La professione dell’insegnante, data dall’intreccio tra educazione ed istruzione, richiede indubbiamente un’enorme responsabilità, perché, anche se non in maniera totalizzante, ci si fa carico del destino di un bambino; inoltre richiede una profonda umiltà: il maestro o la maestra entra in classe non per ricevere delle autogratificazioni, ma per mettersi al servizio dei bambini. Infatti, proprio nel momento in cui dona ai bambini ciò che è, ciò che possiede di bello, gradualmente e in modo naturale fiorisce anche la loro bellezza.
Per concludere questo spazio dedicato al film Essere e avere riporto alcune parole, semplici ma significative, che il maestro Georges Lopez pronuncia di fronte alla telecamera, quando racconta del perché abbia scelto di diventare insegnante: “Amo molto il lavoro con i bambini, loro mi danno molto in cambio”.