Didattica a distanza – (Newsletter n.7 febbraio 2021)

Didattica a distanza – (Newsletter n.7 febbraio 2021)

di Fabio Gervasio (fonte: Orizzontescuola.it – 19.01.21)

La difficile situazione che la scuola sta affrontando, secondo lo psicanalista Massimo Recalcati, non deve essere vista necessariamente come un ostacolo, ma come parte del processo formativo, dal momento che è soprattutto il momento della prova ad avere un valore educativo. Questo è possibile purché non si ceda, genitori, studenti e docenti, al vittimismo del modello imperante della Scuola Narciso, ma si assuma quello di Telemaco, che integra il trauma nella didattica, prendendo atto che il processo di apprendimento non è mai banalmente lineare, ma piuttosto spiraliforme, fatto di fatto di cadute e ripartenze.

Didattica a distanza, intervista a Massimo Recalcati: “Ammiro i molti insegnanti che l’hanno dovuta utilizzare”, una riflessione tra crisi e prospettive future.

Professor Recalcati, ci lasciamo alle spalle il 2020, un anno fortemente segnato dalla crisi pandemica legata al Covid-19. Un anno che ha trasformato le nostre abitudini e ci ha fatto vivere varie fasi passando da quella eroica della prima ondata, dove ha prevalso il noi all’io, all’angoscia, lo smarrimento, che ha caratterizzato la seconda ondata, dove a prevalere è stata l’insofferenza nei confronti delle restrizioni e degli stessi eroi, i sanitari, che avevamo osannato. Lei ha affermato che tra le due ondate ha prevalso l’anima cicala dell’uomo. Tutta questa situazione come sta influenzando la stabilità psico-emotiva dei nostri ragazzi?


“Loro sono stati i primi a credere che la vita avesse ripreso il suo corso normale. Ma che questo sia accaduto è nell’ordine delle cose. I ragazzi sono fatti per vivere all’aperto e non nel chiuso delle loro case. La loro spinta vitale ha incoraggiato la credenza che tutto fosse finito con l’arrivo dell’estate. Non era loro compito frenare gli entusiasmi. Eppure i libri di storia della medicina ci dicevano del carattere inevitabile della seconda ondata.
Ma nessuna voce adulta si è alzata con forza per rendere questa verità pubblica e adottare di conseguenza le misure sanitarie necessarie. Perché? Per la paura di perdere consensi? Per non incrinare l’illusione collettiva che si era impadronita del nostro paese? Per tutelare il settore del turismo? Non so bene. In ogni caso quelle parole avrebbero dovuto essere pronunciate con decisione da parte del nostro governo. E questo non è accaduto. Anzi il Ministro della Salute aveva pronto per le stampe un suo libro dove raccontava come abbiamo sconfitto il Covid…”


Nell’emergenza Covid-19 un’istituzione in particolare ha avuto sempre i riflettori puntati addosso, la Scuola. La didattica a distanza ha dimostrato tutti i suoi limiti. Nella seconda ondata alunni ed insegnanti stanno vivendo un vero e proprio rifiuto verso di essa. Lei già da qualche anno, in tempi non sospetti, aveva lanciato l’allarme nei confronti di una didattica digitalizzata, valorizzando il ruolo fondamentale del corpo e della relazione nella didattica. Ci spiega meglio questo concetto?


“Non c’è dubbio che la vita della scuola implica i corpi, l’esistenza di una comunità in presenza. Ed è indubbio che la DAD sia stata una faticosissima supplenza all’impossibilità dell’incontro in presenza. Io non sono un sostenitore della DAD. Ma devo dire che in questo anno tremendo ho imparato ad ammirare lo sforzo di molti insegnanti che l’hanno dovuta utilizzare. Io stesso mi sono cimentato nei miei corsi universitari con questo sistema.
È difficile. Molto difficile. Ne risente sia la trasmissione del sapere sia la qualità dell’apprendimento. È un’evidenza. Ma è per me altrettanto evidente che ogni percorso di formazione si fa con quello che c’è e non con quello che dovrebbe idealmente esserci, si fa con il reale e non con l’ideale. Nel tempo del Covid noi tutti siamo confrontati traumaticamente col reale. Ogni formazione avviene attraverso i colpi impietosi del reale. Non c’è mai programmazione ideale, non c’è mai cammino rettilineo, non c’è mai semplice progressione.
La formazione non risponde al paradigma della scala; innalzamento progressivo senza inciampi dal gradino più basso a quello più alto. Il processo di formazione è piuttosto spiraliforme, fatto di smarrimenti, cadute, sconfitte e riprese, ricominciamenti, riaperture, rilanci. Questo tempo tremendo fa parte della formazione. Lo dobbiamo pensare come parte del processo formativo e non come un suo ostacolo. Come accade con la DAD. Giocoforza. Se aspettiamo la normalizzazione della vita della Scuola per fare esistere la Scuola siamo perduti”.


Dalla chiusura della prima fase, ed il conseguente ricorso alla DAD, si è passati ad un timido tentativo di riapertura, con l’estate trascorsa a studiare il problema della sicurezza, per poi richiudere appena la curva del contagio ha iniziato a crescere nuovamente. Lei ci parla di una scuola in terapia intensiva, il cui male ha origine ben prima dell’emergenza sanitaria. Quattro riforme negli ultimi 20 anni non hanno migliorato la situazione. Lei ritiene che è ora di ripensare seriamente la forma dell’istituzione scuola e che l’emergenza in atto dovrebbe essere considerata come il giusto stimolo per fare questa riflessione. Partiamo dai complessi della scuola, lei nel suo libro “L’ora di lezione: Per un’erotica dell’insegnamento” ne individua tre in particolare con una doppia chiave di lettura sia diacronica che sincrona: La Scuola-Edipo, la Scuola-Narciso e la Scuola-Telemaco. Ce li racconta?


“Io spero che quello che è accaduto costringa innanzitutto i nostri governanti a non dimenticare il valore della scuola, della ricerca e della formazione. Il valore di un paese si misura dalla centralità che in esso occupa l’esistenza della scuola. Anche in termini di investimenti naturalmente. Soprattutto in un tempo come questo dove il rischio che avvertiamo tutti è quello di non avere più futuro. L’esistenza della Scuola contribuisce in modo determinate a fare esistere il futuro. Senza centralità della Scuola un paese è senza avvenire. Oggi il primo compito che ogni educatore deve perseguire è quello di costruire il futuro con quello che c’è adesso a disposizione, foss’anche la DAD.

La Scuola Edipo è quella Scuola fondata sul criterio verticale dell’autorità e sulla continuità tra famiglia e insegnanti. Essa concepisce l’educazione come un raddrizzamento ortopedico e normativo delle differenze.


Questa rappresentazione della Scuola è in chiaro declino. Giustamente. Non bisogna rimpiangerla nostalgicamente. Al suo posto prevale però una Scuola che esalta il narcisismo dei figli, che riflette a sua volta quello dei loro genitori: competizione, performance, gara cognitiva. È una rappresentazione tecnocratica della Scuola come Azienda. Ma la Scuola Narciso ha anche un’altra faccia. Quella della Scuola come asilo sociale, luogo di intrattenimento o di parcheggio dei nostri figli. Allora si abbassa l’asticella della prova, si riduce la domanda di sapere, ci si adatta all’apatia frivola dei nostri figli che fanno sempre più fatica ad impegnarsi con rigore e che, nonostante questo, vengono difesi strenuamente dai loro genitori. La Scuola Azienda e la Scuola asilo sociale sono le due facce predominanti della Scuola Narciso che è egemone nella nostra epoca.
Nel tempo del Covid ad esse dobbiamo aggiungere un altro volto della Scuola Narciso: la tentazione di identificare vittimisticamente questa generazione di allievi con la generazione Covid. Il rischio è quello di enfatizzare le privazioni e i sacrifici ai quali il Covid costringe oggettivamente i nostri figli annullando ulteriormente il carattere formativo della prova e commiserando i nostri poveri ragazzi ai quali è stata sottratta la Scuola. La psicoanalisi insegna che se si vittimizzano i figli si toglie loro la possibilità di soggettivarsi come soggetti responsabili della loro vita. È un grande rischio che dobbiamo tenere presente.


La Scuola Telemaco oggi è quella che non cede alla tentazione della vittimizzazione. Il Telemaco omerico, infatti, non si limita a lamentarsi per quello che sta accadendo a Itaca a causa dell’assenza del padre. Non sceglie la via della vittimizzazione. La generazione Telemaco è quella che impugna il proprio destino senza aspettare il ritorno del padre, ovvero senza identificarsi passivamente a chi ha subito un torto e deve essere risarcito. Non devono esistere ristori per questa generazione di allievi. Piuttosto la Scuola Telemaco è la Scuola dei figli che si mettono in viaggio.


Che sanno attraversare l’assenza del padre senza rimpiangere la Scuola Edipo e senza sprofondare nello stagno della Scuola Narciso. Lo ripeto: questa grande crisi generata dalla pandemia non deve essere considerata una interferenza al processo di formazione ma come una sua parte costituente. Quello che dà forma alla vita è il reale del trauma: compito della Scuola dovrebbe essere quello di integrare questo trauma nella didattica. In che modo? Per esempio mostrando che si può sempre fare qualcosa di generativo con quello che c’è. Testimoniando che il desiderio è più forte della paura, più forte della rassegnazione, più forte della tentazione torbida del vittimismo”.

Fabio Gervasio

Sport e pandemia – “Un diritto calpestato e il ruolo della scuola”  – (Newsletter n.7 febbraio 2021)

Sport e pandemia – “Un diritto calpestato e il ruolo della scuola” – (Newsletter n.7 febbraio 2021)

Sono un’insegnante di Scienze Motorie presso l’Istituto Comprensivo Perlasca di Maserà di Padova e allenatrice / giudice di Ginnastica Ritmica presso l’ASD Ginnastica Ritmica Padova.


Con i miei alunni abbiamo studiato la Carta dei Diritti dei ragazzi nello Sport, formata da dieci articoli, che in Italia è stata accettata e firmata il 27 maggio del 1991.
Ci è balzato all’occhio che l’articolo sul “diritto di fare sport” dei ragazzi in questo periodo di pandemia è negato ai “non agonisti”, cioè a tutti quei bambini/ragazzi che prima andavano in palestra, in piscina, nella scuola di danza, ecc… per fare attività motoria di base una o due volte la settimana e che dalla fine di ottobre non possono più farlo; in questo modo sono stati privati di uno dei momenti più importanti per la crescita di un bambino dal punto di vista fisiologico, psicologico, di socializzazione e di salute!


Credo che in un momento drammatico e delicato come questo la scuola abbia il diritto e il dovere di “recuperare” in qualche modo quanto viene “tolto” ai nostri giovani non agonisti.
Maestri e insegnanti di Scienze Motorie, pur nella difficoltà di rispettare i rigidi protocolli (distanza di almeno 2 m in palestra, uso della mascherina, niente contatti, niente spogliatoi, niente palloni, niente giochi di squadra) hanno il dovere di dare la possibilità agli alunni di fare sport!
Con il nuovo anno scolastico ho dovuto cambiare radicalmente la mia modalità di insegnamento, aumentando rispetto al passato lo studio di argomenti teorici, modificando i classici test d’ingresso che ormai facevo da anni; anche il mio rapporto con i ragazzi è cambiato, il Covid unisce e accomuna “sulla stessa barca” dei gesti quotidiani e ripetuti più volte nell’arco della giornata docenti e alunni, ogni classe appare come una piccola famiglia con le sue particolari dinamiche di crescita.
All’inizio dell’anno scolastico svolgevo le mie attività pratiche all’aperto oppure facevamo delle lunghe passeggiate nei paesi limitrofi, poi sono state abolite le passeggiate e per un breve periodo non potevamo andare in palestra (visto che la nostra disciplina era diventata ad alto rischio….) quindi abbiamo dedicato del tempo ad attività teoriche in classe, molto utili ma non sempre gradite a tutti gli alunni.


Alla fine di novembre finalmente abbiamo ripreso l’attività pratica in palestra, ma sempre con regole restrittive e allora ho pensato che la mia passione primaria, la ginnastica ritmica, mi poteva aiutare in qualche modo a fare delle lezioni divertenti e diverse dal solito: il binomio “musica e movimento” era perfetto per dare un po’ di allegria e leggerezza alla lezione ma sempre aggiungendo qualcosa di nuovo, quindi ho cominciato a strutturare in maniera diversa le lezioni pratiche.
Ho proposto ai ragazzi, ciascuno dotato di un telo mare per delimitare il suo spazio e come appoggio per gli esercizi al suolo, un riscaldamento con la musica durante il quale io faccio tutti gli esercizi con loro.
Fin dall’inizio i risultati sono stati superiori alle mie aspettative, infatti tutti gli alunni, maschi e femmine e persino quelli che erano “giustificati” in gradinata, hanno partecipato attivamente all’esperimento, creando un corpo unico al suono della musica, distanti ma uniti dalle note musicali e dai vari movimenti come un’orchestra o un corpo di ballo!
Dopo questa fase di riscaldamento globale ho dedicato sempre 10 minuti ad un allenamento che i
ragazzi possono trovare fra le applicazioni del cellulare (tipo Seven work out) per fare un po’ di preparazione fisica sempre con l’ausilio di un sottofondo musicale e insegnando loro la corretta esecuzione degli esercizi.
Al termine di questa fase la richiesta degli alunni era quella di poter “correre liberamente” e quindi ho dato spazio alle loro richieste facendo piccole gare in coppia e a squadre, studiano i vari tipi di corsa.
A differenza degli anni scorsi, in cui terminavo la lezione con un’attività ludica/sportiva, ho provato a concludere la lezione con alcuni esercizi di stretching e di rilassamento, utilizzando anche delle musiche rilassanti e ancora una volta i ragazzi mi hanno sorpresa, molti mi chiedono questa parte finale della lezione perché vogliono rilassarsi e riposare…..
All’inizio del secondo quadrimestre ho provato ad inserire anche la realizzazione di una coreografia con la musica in cui i ragazzi possono esprimersi liberamente in una piccola parte inventata da loro e in un’altra in cui richiedo loro un’esecuzione sincronizzata degli stessi movimenti, tutto ciò per creare un modo diverso per fare squadra ed aumentare la “sintonia” tra di loro; nelle classi seconde e terze sono arrivata a fare delle piccole “competizioni” degli alunni suddivisi in due squadre con la giuria formata dai compagni: i ragazzi sono stimolati a dare il massimo, si divertono e sviluppano le loro capacità motorie, in particolare quelle coordinative.
Concludendo: anche questo difficile periodo di confinamento e restrizioni è un’occasione per cercare di andare oltre, stimolando fantasia, partecipazione e nuovi modi di aggregazione anche nell’attività fisica per non far mancare ai nostri ragazzi un diritto fondamentale quale quello di fare sport!

Sandra Veronese

Cosa è cambiato nello sport?  – (Newsletter n.7 febbraio 2021)

Cosa è cambiato nello sport? – (Newsletter n.7 febbraio 2021)

Nonostante non sia sempre sulle prime pagine, uno delle vittime illustri di questo periodo di pandemia è sicuramente lo sport. Come è cambiato? Quali ripercussioni potremo vedere nella società, nel breve e lungo periodo? Ne parliamo con il prof. Luca Gallizioli, docente di educazione fisica ed allenatore di calcio.

Professor Gallizioli, lei insegna da diversi anni educazione fisica alla scuola primaria e secondaria di primo grado. Essendo una materia quasi esclusivamente pratica, è stata forse la più penalizzata da questo periodo di pandemia.
Ci sono state delle difficoltà nel progettare un piano che permettesse di fare attività, pur rispettando le regole imposte dall’emergenza sanitaria? Se sì, quali sono state? E, allo stesso tempo, avete visto anche dei lati positivi o dei risvolti “inaspettati”?

L’educazione fisica purtroppo ha risentito enormemente di questa situazione legata alla pandemia proprio perché colpita all’essenza della sua natura: lo sport è socializzazione, aggregazione ma anche sfida. L’inizio non è stato facile e la programmazione didattica ha visto numerose revisioni e modifiche; la difficoltà maggiore è stata relativa alla poca chiarezza in merito alle restrizioni e a ciò che era possibile fare (banalmente anche ai luoghi che si potevano usare). Il mese di novembre ha visto addirittura la sospensione di ogni tipo di attività pratica curricolare. Quindi se dovessi pensare alla prima difficoltà direi proprio la mancanza di un protocollo chiaro ed esauriente che permettesse una programmazione sicura: si procedeva giorno per giorno, o meglio, dpcm per dpcm. L’altra difficoltà, che però ha causato meno problemi, è stata quella legata alle norme igieniche e di sanificazione. Su questo tema un grande contributo è arrivato dagli alunni che si sono fatti trovare pronti al rispetto delle regole e comprensivi delle norme da attuare.
Tornando alla didattica, queste limitazioni, hanno però dato la possibilità di affrontare in maniera più approfondita e accurata alcuni argomenti. Il dover lavorare in forma individuale ha permesso di potenziare e migliorare alcuni aspetti tecnici fondamentali che stanno alla base di tutti gli sport individuali, ma soprattutto di squadra: dal tiro al passaggio, dal palleggio alla conduzione. Il tutto strutturando lezioni che riuscissero a coinvolgere tutti i componenti della classe e per di più potendoli suddividere in livelli di apprendimento; potendo così personalizzare l’esercizio e soprattutto la difficoltà della richiesta sulle capacità oggettive di ogni singolo alunno. Una sorta di personal training.

Possiamo dire senza paura di essere smentiti che questo ultimo anno non è stato il più semplice per lo sport. Palestre, piscine e centri sportivi in generale sono stati i primi a chiudere e saranno gli ultimi a riaprire, con conseguenze pesanti sulle Società, sui collaboratori sportivi, ma soprattutto su chi frequenta questi luoghi.
Cercando di sopperire a queste mancanze, abbiamo visto fiorire le lezioni on-line, le app di fitness e altri “escamotage” che permettessero di fare attività rispettando le regole del periodo.
Anche molte società sportive, pur di garantire l’attività per i propri iscritti, hanno rivoluzionato le strutture e modificato le modalità di lavoro. È sicuramente il caso degli sport di squadra all’aperto, come ad esempio il calcio.

Parliamo quindi al “Mister”: come è cambiato il modo di allenare in questo ultimo anno? Per un giovane calciatore, questo può influire sulla sua crescita calcistica?

Possiamo dire che è stato letteralmente stravolto ma allo stesso tempo ha permesso di mettere in evidenza alcune realtà. Stravolto soprattutto per la concezione che si ha del gioco del calcio come gioco di squadra, come sfida e duello, come compagni e avversari, come vittoria e sconfitta. Da questo punto di vista allora sì che è stato stravolto: tutto questo non c’è più. Si è perso il contesto in cui il giovane calciatore formava il suo aspetto caratteriale: il coraggio, il “furore agonistico”, l’istinto, il pensiero creativo e l’iniziativa personale. Sembra impossibile ma tutto questo lo troviamo solamente nel momento del duello, nell’1vs1..e questo difficilmente lo puoi ricreare con un allenamento in forma individuale.
Dall’altra parte ha preso campo però la ricerca del perfezionamento della tecnica, (spingendosi in alcuni casi al limite di rendere il calcio uno sport per acrobati e giocolieri), la ricerca di metodi nuovi per allenare e la creatività di proporre attività che stimolino l’interesse e il divertimento dei ragazzi; il tutto per farli sentire ancora Protagonisti di questo gioco.
Se può influire nella crescita calcistica del giovane calciatore? Certamente sì. Oltre a tutto il discorso legato alla salute fisica e al benessere della persona, quest’anno di stop e sport adattato ha e avrà di sicuro le sue ripercussioni in un futuro non troppo lontano. Il rischio maggiore è il verificarsi del fenomeno del dropout, l’abbandono precoce dello sport: snaturare uno sport rischia di affievolire l’interesse in chi lo pratica e questo porta molto spesso alla scelta di abbandonarlo, proprio perché non è più quello di cui mi sono appassionato. E non meravigliamoci se poi l’interesse passa ai videogiochi o ai pc.
Un altro grande rischio è il non-confronto: si cresce solamente nel momento in cui ci si confronta con qualcuno. Solo nella situazione ho la possibilità di mettere in pratica quanto ho imparato. Siamo tutti capaci di camminare su un’asse di legno appoggiata sul pavimento, ma se la situazione cambiasse? Se quell’asse si trovasse a 10mt di altezza, sarebbe la stessa cosa? Idealmente si, lo schema motorio richiesto sarebbe identico ma è proprio il contesto che lo rende diverso. Anche l’aspetto emotivo legato al contesto (paura, rabbia, timore) va allenato..e va allenato con la pratica.
L’altro rischio è che il calcio giocato si sia fermato ma il regolamento no. Mi spiego meglio. Quello che si sta vedendo è che il calcio giocato, le competizioni, i tornei stanno vivendo un prolungato stop che ormai va avanti da più di un anno, ma la cosa che non cambia è la programmazione del settore giovanile. Da pulcini ad esordienti, da esordienti a giovanissimi, da un campo a 7 a uno 9 e poi a 11. Ovviamente prima o poi bisogna arrivare sempre a giocare in un campo grande 11vs11, ma quello che si sta perdendo è la giusta gradualità nei vari passaggi. La mancanza di poter consolidare quanto appreso anche in riferimento allo spazio e al tempo.

La scienza ci insegna che “lo sport è salute”, ma sembra che spesso questo non venga percepito e si colleghi l’attività motoria e sportiva soltanto alla volontà di assicurarsi un fisico tonico per la prova costume o all’aggregazione senza controllo in sala pesi o negli spogliatoi. Per questa concezione, forse, troviamo molti impianti chiusi e, a lungo andare, questo potrebbe avere delle conseguenze negative, soprattutto nelle categorie più fragili, come gli anziani, che trovano benefici psico fisici notevoli nell’attività motoria, e i ragazzi, ai quali viene tolto un aiuto fondamentale per una crescita sana.

Quali ripercussioni potrebbe avere questo periodo, che per molti è stato uno stop completo delle attività, nello sviluppo degli adolescenti, ma anche dei più piccoli?

Lo sport migliora l’attenzione e il funzionamento cognitivo. È un modo per stare meglio dal punto di vista fisico ma anche mentale. Insegna a stare con gli altro e a gestire le emozioni. Ma questa pandemia ha tolto ai ragazzi quest’occasione di crescita.
Bambini e ragazzi hanno bisogno di attività di movimento per la loro crescita fisica e psichica, l’interruzione quindi degli sport che stavano praticando ha modificato i loro ritmi quotidiani di vita, l’umore, il sonno, l’alimentazione. Quelli poi che si stavano allenando in vista di gare o tornei, hanno visto sfumare appuntamenti e scadenze importanti ben sapendo che non sempre è possibile recuperare. L’attività sportiva aiuta a rimanere nel momento presente, a entrare in empatia con i compagni di squadra e a fare squadra. Lo sport, inoltre, insegna a rispettare l’altro, insegna la disciplina e imparare il gioco di squadra è fondamentale perché crea il senso di comunità.

Guardiamo il lato positivo. Lei crede che gli stadi vuoti, i mondiali di sci senza pubblico, oltre a tutte le chiusure di cui abbiamo parlato prima, possano sensibilizzare le istituzioni sull’importanza dell’attività sportiva e su quanto la salute delle persone ne possa beneficiare?

Purtroppo, credo che le istituzioni non si rendano ancora conto delle grandi potenzialità e benefici che l’attività sportiva ha e che può dare alla comunità nei vari settori: educativo, economico, della salute e del benessere. Basti pensare alla mancata nomina di un ministro dello sport o ai provvedimenti che vengono presi nelle altre nazioni per l’attività fisica nelle scuole (notizia di qualche giorno fa il Ministro dell’istruzione cinese con un provvedimento chiede di adeguare i piani didattici e di porre attenzione all’educazione fisica proponendo almeno un’ora di attività fisica al giorno nelle scuole). Gli stadi vuoti e i mondiali di sci senza pubblico purtroppo penalizzano solamente le società o tutte quelle attività che fanno da contorno a questi eventi sportivi mettendo per lo più in risalto l’aspetto economico che mobilità lo sport ma non abbastanza per sensibilizzare gli aspetti della salute e del benessere di chi lo pratica.

Elena Dal Pan

LE OPPORTUNITA’ DELL’ADOLESCENZA – mantenere la rotta navigando con i figli

LE OPPORTUNITA’ DELL’ADOLESCENZA – mantenere la rotta navigando con i figli

Giovedì 4 febbraio, tramite Zoom si è tenuto l’incontro – LE OPPORTUNITA’ DELL’ADOLESCENZA Gianpiero Camiciotti Dirigente scolastico e Psicologo con Alessandra Modugno Docente e Orientatrice hanno dialogato con genitori e insegnanti.

L’adolescenza non è solo un momento difficile, ma può essere affrontato come periodo di crescita e di scoperta non solo per i ragazzi, ma anche per l’adulto che entra in relazione con loro.

Di seguito riportiamo la registrazione dell’incontro


Soul – (Newsletter n.6 gennaio 2021)

Soul – (Newsletter n.6 gennaio 2021)

Paese: USA  – Durata: 107 minuti – Regia: Pete Docter, Kemp Powers

Un viaggio alla scoperta di sé che fa sognare i bambini ed emozionare gli adulti; spesso siamo troppo presi dal desiderio di realizzare i nostri sogni da non accorgerci delle cose semplici e belle che succedono nella nostra vita.

Lo spunto da cui prende avvio la storia è una domanda impegnativa: “Ti sei mai chiesto da dove provengono la tua passione, i tuoi sogni e i tuoi interessi? Cosa ti rende così come sei?

Joe Gardner è un uomo maturo, eppure sente che la sua vita non è mai veramente cominciata. Appassionato pianista di jazz, aspetta la grande occasione mentre insegna musica in una scuola media e suona quando capita nei locali notturni, facendo preoccupare la madre che vorrebbe per lui le garanzie del posto fisso. 

Il giorno in cui passa l’audizione per debuttare con un famoso quartetto, Joe sente finalmente di avercela fatta, ma cade in un tombino scoperchiato e la sua anima si ritrova in uno strano luogo, mentre il suo corpo giace in un letto d’ospedale. Determinato a non morire proprio ora, Joe imbroglia le carte e stringe un patto salvavita con un’inquieta giovane anima, la numero 22.

22 non vuole vivere, Joe non vuole morire; catapultati quasi per errore sulla terra, iniziano una corsa contro il tempo; Joe ha solo poche ore per riappropriarsi della sua vita e realizzare il sogno di diventare un grande musicista jazz, mentre 22 è alla ricerca della ‘scintilla’ che le faccia scoprire finalmente il senso della vita.

Dopo una lunga serie di traversie, tutte concentrate nello spazio di un pomeriggio, i due riusciranno a sistemare le cose, arrivando finalmente a capire quale sia il loro posto nel mondo. Joe e 22 scopriranno insieme che a volte per rincorrere un sogno ci ‘dimentichiamo di vivere’ e perdiamo di vista la bellezza del quotidiano e del mondo reale, fatto di incontri e di reciproco scambio. 

Tornato alla vita di sempre, dopo essersi svegliato da quello che è sembrato un sogno molto reale, Joe promette a se stesso di assaporare la bellezza di ogni momento del viaggio che è la vita.

Soul, che gioca sul duplice significato di “anima” e di “genere musicale”, ci mostra due anime a confronto: quella di Joe, che la dovrebbe “riconsegnare” a seguito dell’incidente, e quella di 22, che ancora deve trovare la sua giusta collocazione nel mondo. Apparentemente sembra che sia Joe ad essere stato prescelto per guidare 22 nel percorso di formazione che la porterà a diventare una persona in carne ed ossa, ma non è così, piuttosto è il caso di dire che i due “si sono trovati”. 

Attraverso lo sguardo, la curiosità di 22 Joe vedrà se stesso vivere in un altro modo e quando si riapproprierà del corpo, continuerà a percepire il fremito di quelle sensazioni provate da 22 durante le ore trascorse insieme e rivedrà, finalmente, i momenti della vita che la passione per la musica aveva fino a quel momento oscurato.

Un bel modo per dirci: gustate ogni singolo istante della vostra vita e quando questa sembra che vi scappi di mano, cambiate prospettiva. La vita sarà ancora più bella e ogni volta sarà come tornare di nuovo al mondo.

Francesca Guglielmi