Ott 15, 2020 | Insegnanti
A termine di un lungo iter legislativo, il 20 agosto 2019 il Parlamento Italiano promulgò la legge n. 92/2019 riferita all’introduzione dell’insegnamento scolastico della cosiddetta “Educazione Civica” nelle scuole di ogni ordine e grado presenti sul territorio nazionale.
Con il presente articolo non si è assolutamente intenzionati a presentare i dettagli tecnici per il migliore insegnamento della disciplina agli studenti, per essa rimando alle Linee Guida pubblicate dal MIUR alcune settimane fa. Si cercherà invece di tratteggiare gli aspetti di novità della disciplina, le grandi opportunità educative che propone e, consecutivamente, i rischi e pericoli che inesorabilmente la accompagnano.
La legge, varata durante le ultime settimane del governo Conte I (quello “gialloverde”, per intendersi), si prefigge lo scopo di «formare cittadini abili e attivi» e di «promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri» (Art. 1). Per raggiungere tale obiettivo, la legge individua due pilastri essenziali da far conoscere: la Costituzione Italiana e le istituzioni dell’Unione Europea (Art. 2).
Ora, per comprendere pienamente le novità dell’insegnamento, è necessario ricordare che siamo dinanzi a una materia sostanzialmente diversa da quell’Educazione Civica che, almeno credo, molti hanno avuto modo di conoscere nei decenni passati.
Le Linee Guida che accompagnano la legge infatti vanno ben oltre la promozione della conoscenza della Carta Fondamentale dello Stato o delle Istituzioni europee, giungendo a enucleare tre macro-aree che si rifanno direttamente all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile promossa dall’ONU: esse sono:
– Costituzione, diritto nazionale e internazionale, legalità e solidarietà;
– Sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio;
– Cittadinanza digitale.
Questa pluralità tematica richiama fortemente un altro carattere dell’insegnamento: la contitolarità e quindi la trasversalità. Ciò è, a mio parere, il grande punto di forza della nuova disciplina. Al netto di una programmazione didattica ben costruita da un valido e coordinato gruppo di docenti, la possibilità di sviluppare tematiche affini con modalità e tecniche differenti in ogni singola disciplina è effettivamente una grande possibilità didattica. Uscire dagli scompartimenti stagni degli insegnamenti, apparentemente muti e sordi tra di loro, creando un linguaggio trasversale e complementare, potrebbe favorire notevolmente lo slancio critico, la costruzione concettuale, la libera interpretazione del pensiero, il gusto e il fascino della ricerca e della scoperta. È un’opportunità da cogliere.
D’altro canto la nuova legge potrebbe comportare dei pericoli educativi non così troppo celati. La forte «liquidità» dei programmi proposti, definiti dalle suddette tre macro-aree in cui trova spazio un po’ di tutto, lascia un’ampia libertà di scelta all’insegnante. Una libertà, si ricordi, comunque condizionata dall’Agenda 2030. Ciò non è, in linea di principio, un male, anzi. Tuttavia, come ben sappiamo, la libertà non può essere tale senza responsabilità. In primis, responsabilità dell’insegnante, il quale è moralmente obbligato a strutturare un percorso idoneo ai suoi studenti, senza lasciarsi tentare da quel desiderio di «educazione delle folle» tipiche di uno Stato Etico, fortemente indottrinante e indottrinato. Tale rischio è presente nel nostro Paese, in tutte le scuole, eredità di un passato neanche troppo lontano. In secundis, responsabilità della famiglia, principale e finale custode dell’educazione dei figli (cfr. Art. 26, comma 3, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948), chiamata a monitorare i programmi scolastici e obbligata a intervenire nel caso in cui l’insegnamento di Educazione Civica diventasse terreno di proselitismo ideologico, di qualsiasi tipo esso sia. Il pericolo è dietro all’angolo, bisogna dunque vigilare.
Libertà e Responsabilità in una Scuola alleata con la Famiglia. Solo grazie a questi connubi, solo grazie a un intenso desiderio di accostarsi alla Ricerca del Vero, del Bello e del Bene si potrà sperare di formare «cittadini consapevoli» del loro posto nel mondo.
Solo così l’Educazione potrà essere veramente «civica» e, di riflesso, la Civiltà diventerà anch’essa «educativa».
Stefano Sasso
Ott 15, 2020 | Insegnanti
Antonio Calvani, Roberto Trinchero – Carocci Faber 2019
Si può stabilire con ragionevole grado di certezza quali sono i principi e i metodi didattici più efficaci? A questa domanda, di fondamentale importanza per chiunque operi nel campo dell’insegnamento e sia desideroso di districarsi fra le molte mode didattiche che hanno invaso la scuola, questo agile libro risponde affermativamente.
Sulla base della ricerca scientifica degli ultimi decenni in ambito pedagogico, i due autori, docenti universitari, ritengono che si possano individuare, da una parte, dieci “miti”, ossia credenze didattiche prive di reale fondatezza scientifica, sebbene oggi particolarmente diffuse; dall’altra, altrettante regole, o raccomandazioni, che hanno la maggiori probabilità di realizzare un apprendimento efficace.
Il tratto che caratterizza questo testo, distinguendolo da tanti altri che offrono idee e suggerimenti per una buona didattica, è il costante riferimento ai risultati più aggiornati delle ricerche sperimentali sul grado di efficacia delle diverse metodologie didattiche. La stessa struttura del volume è quella di un saggio scientifico, dallo stile asciutto e con abbondanti riferimenti alle pubblicazioni più accreditate della letteratura pedagogica recente, soprattutto di lingua inglese, e corredato da un’appendice in cui sono presentati i modelli didattici intorno a cui oggigiorno c’è il maggior consenso degli studiosi e da un glossario finale dei numerosi termini tecnici utilizzati.
Solo per fare qualche esempio, lasciando al lettore incuriosito di leggere gli altri, tra gli slogan didattici attualmente più in voga, ma che gli autori ritengono dei miti da sfatare, ci sono: “Per formare gli allievi è importante la didattica, non la valutazione” (Mito 2); “Bisogna abolire la lezione frontale” (Mito 3); “Le tecnologie migliorano l’apprendimento” (Mito 5); “Con l’approccio flipped si può innovare la scuola” (Mito 10). Ciascun dei cosiddetti miti viene criticato portando argomentazioni ed evidenze contrarie, senza, però, dimenticarsi di valorizzare la parte di verità contenuta in essi.
Tra le dieci regole, presenti nella seconda parte, possiamo citare sempre come esempio e senza entrare nello specifico: “Predefinire una struttura di conoscenza ben organizzata” (Regola 1); “Attivare le preconoscenze dell’allievo” (Regola 3); “Utilizzare feedback e valorizzare l’autoefficacia” (Regola 8); “Potenziare la conservazione in memoria delle idee e dei procedimenti rilevanti” (Regola 10). Come per i miti, ogni regola è spiegata e supportata da argomentazioni ed evidenze, ma anche da domande concrete che l’insegnante può porsi per capire quanto tali raccomandazioni siano realmente all’opera nella sua personale pratica didattica.
Per concludere, questo è un testo prezioso per i docenti perché ricorda che se insegnare è un’arte, ciò non significa che tutte le prassi siano equivalenti e non vi siano dei punti fermi che hanno dato nel corso del tempo ripetute conferme di affidabilità (e questo senza nulla togliere alla passione educativa che deve muovere ogni insegnante); ed inoltre sottolinea, a dispetto di tutte le correnti educative di tipo attivistico-spontaneistico e costruttivistico che hanno interessato la scuola (su cui gli autori esprimono un parere prevalentemente negativo), il ruolo di guida insostituibile e centrale da parte del docente, che, proprio per questo, è chiamato a “imparare a padroneggiare le modalità e le tecniche tipiche degli insegnanti esperti, che oggi la ricerca è in grado di descrivere ed esemplificare analiticamente” (p. 98).
Alessandro Cortese
Ott 15, 2020 | Studenti
di Gian Guido Vecchi (fonte: Corriere della Sera – 11.10.20)
Domenica 11 ottobre è stato dichiarato beato Carlo Acutis, lo studente milanese morto a soli 15 anni, primo santo fra i cosiddetti millenials.
Nell’intervista al sacerdote che gli faceva da assistente spirituale nel liceo da lui frequentato, Carlo viene descritto come un ragazzo che oltre a un forte impegno nello studio dimostrava una grande generosità e gentilezza nei confronti dei compagni e delle persone che incontrava ogni giorno. In particolare possedeva, a detta di tutti, una straordinaria, per la sua età, competenza informatica, che ha saputo mettere generosamente a disposizione della scuola per illustrarne le attività di volontariato. Grazie a questa sua passione per il computer, che lo accomuna a tanti suoi coetanei, si è parlato di lui come del futuro patrono di internet. Quello che della vita di questo giovanissimo ha colpito tanti è stata la capacità, certamente sorretta dalla fede, di vivere in profondità e di coniugare in modo armonioso quelle che sono le dimensioni dell’esistenza di ogni normale ragazzo del nostro tempo, famiglia, scuola, amicizie, volontariato, sport e nuove tecnologie. In questo senso la sua testimonianza è un invito per ogni educatore a guardare con fiducia agli adolescenti che incontra nella sua attività e a vivere con ancora più passione la sua missione.
«Aveva una finezza, una signorilità innate… Per dire: c’era il portinaio, Mario, una figura storica del Leone XIII. Carlo, come altri ragazzi, lo salutava ogni mattina all’ingresso. Però capitava che talvolta entrasse dalla piscina, a lato. Mario mi ha raccontato che in quei giorni “il Carlo” andava a salutarlo all’intervallo, quasi scusandosi di non averlo fatto prima». Il padre gesuita Roberto Gazzaniga era assistente spirituale dei liceali in quegli anni, una figura analoga a quella della guida negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio. E lo ricorda bene, Carlo Acutis, il ragazzo milanese di 15 anni morto nel 2006 di leucemia fulminante che ieri, nella Basilica Superiore di Assisi, è stato proclamato solennemente «beato».
Che ragazzo era Carlo?
«Un ragazzo capace di sorridere e scherzare, una presenza positiva. Una di quelle persone che, quando ci sono, tu stai meglio. Che ti aiutano a vivere, a livello umano e di fede. Lo vedevo e mi veniva da dire: questo è un pezzetto di cielo per gli altri ragazzi».
Si è ripetuto: un ragazzo normale. È così?
«Sì, ma di una normalità, una quotidianità dotata di spessore. Carlo era dotato. Molto. Sia dal punto di vista intellettuale — vidi i suoi libri di informatica: erano testi universitari — sia da quello spirituale. E sa una cosa? A quell’età c’è molta competizione. Si tende a non sopportare chi si distingue. Eppure con Carlo non era così. Aveva carisma. Era anche un bel ragazzo, le compagne lo notavano… Eppure non c’erano invidie. Non ho mai visto nessuno che litigasse con lui. Gli volevano bene. Una capacità rara di coltivare i rapporti umani. Uno dei compagni che a scuola faceva più fatica mi chiese di servire messa al funerale, Carlo lo aveva aiutato».
Già si parla del primo santo dei «millennials» e patrono di internet. Che modello è per i coetanei?
«Il modello di un testimone che evangelizza per come è, con il suo esempio. Non un credente “militante” che fa proselitismo. Parlando con il suo parroco, ho saputo che andava in chiesa ogni giorno, per l’eucaristia e la preghiera personale. Faceva volontariato, aiutava i più poveri e disagiati. Tutto questo si notava perché c’era e si vedeva, ma non era mai ostentato».
La discrezione…
«Sì, uno che vive la sua fede senza nasconderla né gettarla sul banco, che non la fa pesare e non accende nessuna luce su se stesso. Ma i santi sono questi: gente che vive la realtà quotidiana con impegno e una certa disinvoltura. Con il sorriso, con naturalezza. Per lui era come respirare. E non si tirava mai indietro».
Ad esempio?
«Ricordo che gli chiesi di preparare un Powerpoint, lui che era così impegnato nella carità e capace al computer, per illustrare le attività di volontariato del Leone XIII, il doposcuola, la mensa per i poveri, l’insegnamento dell’ italiano agli stranieri… Aveva appena iniziato la quinta ginnasio, era un compito che avrebbe spaventato tanti, da proiettare in tutte le classi. Lui ci si gettò a capofitto. Non ha potuto concluderlo. Il venerdì in classe non c’era. Una brutta febbre, il suo vecchio pediatra capì e disse di portarlo subito al San Gerardo di Monza. Ma non ci fu nulla da fare».
Morì in tre giorni…
«Lo portarono a casa. Era vestito con una tuta semplice. Ricordo che dissi alla mamma: troverà quello che ha scritto. Più tardi mi mostrò un libretto. Carlo, a tredici anni, scriveva che la vita è una cosa bella e impegnativa e non la si costruisce su ciò che è effimero. Aveva elencato una serie di virtù e disegnato una montagna dove si elevavano gradualmente. Un ragazzo di tredici anni, si rende conto?».
Ott 15, 2020 | Senza categoria
Paese: Francia – Durata: 97 minuti – Regia: Christophe Barratier
Un gruppo di ragazzi vivaci, un direttore autoritario e un insegnante premuroso: sono questi gli ingredienti di Les Choristes, pellicola del 2004 di Christophe Barratier, che racconta di quanto una relazione di qualità e davvero umana aiuti gli alunni a scoprire la bellezza della vita.
Siamo alla fine degli anni Quaranta in Francia, all’interno di un collegio per bambini orfani di guerra, in cui la punizione e l’intolleranza degli adulti regnano sovrani, fino a quando viene assunto in qualità di sorvegliante Mathieu (Gérard Jugnot), ex compositore di musica rimasto disoccupato.
In una delle scene iniziali il professore entra nel dormitorio dei ragazzi e al suo passare tra i letti tutti si posizionano sull’attenti e immobili, solo un bambino non si accorge della presenza del sorvegliante e continua a cantare e a suonare l’armonica. Constatando anche in altri alunni la predisposizione al canto, Mathieu decide di dare vita ad un coro, nonostante le obiezioni del direttore.
Da quest’attenzione rivolta agli interessi dei suoi allievi, ha inizio un’azione didattica volta a cogliere e a valorizzare le loro qualità e predisposizioni ancora acerbe, ma che con il sostegno e la guida di un’insegnante zelante si sviluppano e fioriscono. Mathieu è un educatore un po’ goffo ma dalle maniere delicate, che si prende cura dei suoi studenti adottando uno sguardo che va al di là del loro iniziale atteggiamento ribelle. All’interno della classe riesce a dedicare l’attenzione ad ogni singolo ragazzo e grazie a questo atteggiamento personalizzato aiuta ognuno a trovare, all’interno del coro, il ruolo che più gli si confà. In particolare riesce a mettere in luce il talento eccezionale di uno dei ragazzi, Morange, che nonostante l’atteggiamento in principio ostile e chiuso, finisce per diventare direttore d’orchestra.
La musica diventa lo strumento attraverso cui la speranza nei ragazzi si riaccende e illumina la loro vita all’interno del collegio, luce che però è contrastata dalla volontà di prevaricazione e imposizione del direttore che continua a rimanere cieco di fronte alla bellezza dei giovani in fiore. Il suo tono autoritario esalta ancora di più il carattere al contrario autorevole del professore di musica che ispira rispetto e fiducia nei ragazzi, pone la sua autorità al servizio dei suoi studenti che finalmente conoscono una relazione positiva e carica di stima e affetto. Questi ultimi tratti sono alla radice del gesto con cui i ragazzi salutano il loro insegnante quando, in una delle ultime scene, è costretto a dimettersi. Un insegnante dal cuore grande, che non ha paura di spendersi per le persone che gli sono affidate e che addirittura adotta uno dei più piccoli fanciulli che tutti i sabati attendeva speranzoso il ritorno dei suoi genitori.
Un’ultima parola deve essere spesa per sottolineare quanto sia la riflessività del professore ad accompagnare ogni sua azione, questo filo conduttore è anche l’ingrediente per una pratica di qualità e che viene offerto allo spettatore per entrare più in profondità nella mente e nel cuore del professore.
Claudia Zenone
Ott 7, 2020 | Appuntamenti, Conferenze
Giovedì 15 ottobre 2020 il Centro Studi per l’Educazione ha il piacere di ospitare, in modalità telematica, il professor Stefano Fontana, veronese, docente di Storia e Filosofia, nonchè giornalista e scrittore
Lavoreremo con lui sul tema dell’Educazione Civica, materia che, in questo anno scolastico, riguarderà trasversalmente tutti gli ambiti dell’insegnamento.
L’incontro si svolgerà in modalità telematica; per questo motivo è indispensabile l’iscrizione tramite mail all’indirizzo segreteria@centrostudieducazione.it