“La Scuola come Laboratorio di Umanità” conferenza di Luigina Mortari, ordinaria di Epistemologia della ricerca qualitativa presso la Scuola di Medicina e chirurgia e di Filosofia della scuola presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi di Verona.
(La conferenza parte a 8’ 45”)
Le ricerche di Luigina Mortari hanno per oggetto la filosofia dell’educazione, la filosofia della cura, la definizione teorica e l’implementazione dei processi di ricerca qualitativa e la formazione dei docenti. Ha al suo attivo numerosissime pubblicazioni: 21 monografie, molte delle quali tradotte in inglese, spagnolo, tedesco, portoghese e russo, e circa duecento tra articoli su riviste scientifiche o saggi in collettanea. Tra i suoi ultimi lavori: La politica della cura (Raffaello Cortina, 2015), Aver cura di sé (Raffaello Cortina, 2019), Filosofia della cura (Raffaello Cortina, 2015), La sapienza del cuore (Raffaello Cortina, 2017), MelArete. Cura Etica Virtù (Vita e Pensiero, 2019).
Paese: USA – Durata: 109 minuti – Regia: Chuck Konzelman
“Unplanned”- La storia VERA di ABBY JOHNSON: tradotto in italiano significa “non pianificato”, e così è stata anche la mia scelta improvvisata di rispondere ad un invito per un’anteprima al cinema.
Un film che ti rimane “dentro”, che ti interroga, ti fa sussultare intimamente e commuovere per il grande Dono della Vita. Alla fine della proiezione ho pensato immediatamente al volto dei miei bambini e mi sono detta: “Se sono qui su questa poltroncina di teatro è perché Qualcuno mi Ama, mi ha custodito e mi custodisce, anche se io non ne sono cosciente”.
Il film racconta la vita di Abby Jonson, giovane donna americana che sin dalla giovinezza si batte per i diritti delle donne. Ai tempi del college si lascia ammaliare dalle feste giovanili, dallo sballo e s’innamora di un ragazzo più grande di lei con cui intrattiene rapporti sessuali occasionali. Quando scopre di essere incinta, senza averlo “pianificato”, viene assalita dal timore di dover rivelare il tutto ai suoi ignari genitori, che sicuramente non avrebbero approvato questo suo stile di vita. Si lascia consigliare dal ragazzo e padre del bambino che subito le suggerisce di abortire tramite un’agenzia apposita. Viene lasciata sola nella scelta e nella rielaborazione e il tutto si traduce in un’operazione fredda e alienante che la riduce ad uno zombie svuotato che a malapena ricorda ciò che è accaduto.
Dopo qualche mese decide di presentare il ragazzo ai genitori per potersi unire in matrimonio. I familiari non lo trovano la persona giusta, ma lasciano a lei la libertà di scegliere e così si celebrano le nozze. Il matrimonio non si traduce in un cammino felice e, dopo un periodo di tensioni e tradimenti, si arriva al divorzio. Abby si accorge però di essere incinta proprio di quell’uomo con cui non vuole più avere niente a che fare e ancora una volta, in solitudine e disorientamento, si rivolge alla clinica Planned Parenthood che, con disinvoltura, la consiglia per un aborto chimico, caldamente raccomandato come veloce, indolore ed efficace.In realtà si rivelerà dolorosissimo, lunghissimo e la convincerà di essere sul punto di morire. Si risveglierà infatti dopo ore di travaglio sul pavimento insanguinato del bagno di casa, stravolta e dolorante per diverse settimane. Sempre sola. Nonostante queste esperienze che la segneranno per sempre e di cui non parlerà ai familiari, Abby vuole battersi per la libertà riproduttiva della donna, pensando che così facendo si possano ridurre gli aborti, attraverso campagne d’informazione e sensibilizzazione. Diventa dapprima una volontaria della clinica Planned Parenthood e, in breve tempo, la più giovane direttrice della principale clinica abortiva del Texas.
“Gli esperti concordano che in questo stadio il feto non sente nulla” queste le parole rassicuranti di Abby per indurre le pazienti ad abortire in tranquillità, per ricominciare la quotidianità senza pensieri. Saranno però degli incontri a porre le basi per una conversione totale. In primis i suoi genitori non approvano questo suo lavoro, questa sua passione e il suo totale coinvolgimento e pregano affinché lei possa cambiare idee e licenziarsi; così come il secondo marito che, amandola profondamente, le esprime tutte le sue perplessità, obiezioni e principi. La lascia però sempre libera di decidere, anche quando Abby scopre di essere felicemente in dolce attesa, nonostante non sia stato “pianificato”.
Un altro incontro decisivo sarà con i giovani attivisti pro-life che con dolcezza e costanza la seguono giornalmente fuori dalla clinica per pregare e dissuadere le donne a non abortire. Infine, non per importanza, avverrà il riavvicinamento a Dio nella preghiera familiare. Da direttrice avrebbe voluto cambiare in meglio la clinica, ma gradualmente inizia a rendersi conto che la libertà che lei voleva difendere era un inganno per donne spaventate, sole e ignare.
Inaspettatamente un giorno le viene chiesto di assistere il chirurgo per un aborto guidato e ciò a cui assiste attraverso un ecografo la renderà cosciente di ciò che è la straziante realtà di un aborto nel grembo materno. Quello che vede cambia la sua vita per sempre, le fa spalancare gli occhi, dandole la forza e il coraggio per intraprendere una delle battaglie più importanti del nostro tempo.
E’ un film che svela i sottili inganni che una comunicazione appositamente studiata può portare, giustificando l’uccisione di un piccolo essere umano innocente nel luogo che lui ritiene il più sicuro e protetto al mondo: il grembo della sua mamma. E’ un film che porta speranza lì dove il male sembra invincibile tanto è potente, organizzato e radicato, ma che la preghiera e l’amore disinteressato dei semplici smonta in modi che “non abbiamo pianificato”. La libertà che Abby reclama per sé e crede non venga capita e concessa dai propri familiari ed amici, in realtà nella storia si rivela una falsa libertà, perché disgiunta dal bene, come quella propagandata dalla clinica che, in realtà, fa di tutto per spingere le donne ad abortire a scopo ideologico e di lucro. La vera libertà è quella che il marito e i genitori insegnano ad Abby, amandola sempre e comunque disinteressatamente, ma accompagnandola ad aprire gli occhi al bene, alla vita e alla verità. “Unplanned” racconta una storia vera che merita di essere raccontata, ascoltata e meditata.
In concomitanza con la ripresa dell’anno scolastico, riprendono anche gli incontri del Centro Studi per l’Educazione!
Il prossimo 22 settembre presso l’Istituto Virgo Carmeli di Verona si svolgerà l’incontro con Alessandro Anderloni che presenterà la voce educatrice di Dante
Mercoledì 22 settembre 2021 alle ore 17.00 presso Istituto Virgo Carmeli di Verona, via Carlo Alberto 26
per eventuali informazioni – segreteria@centrostudieducazione.it
per esigenze organizzative, segnalare la propria presenza all’incontro
Recensione di François-Xavier Bellamy (Itaca, Castel Bolognese 2019)
Chiunque abbia avuto la fortuna di poter vivere l’esperienza di un pellegrinaggio a piedi, tra tutti il celebre Cammino di Santiago, può confermare con il sottoscritto quanto sia necessario, durante l’itinerario, fare memoria della destinazione. Solo fissando, nella mente e nel cuore, la méta del proprio peregrinare si può scansare il pericolo sempre incombente del vagabondaggio.
Lo sapevano bene quei cavalieri che, marchiando i propri scudi con una croce, si mettevano in viaggio verso il Santo Sepolcro, senza la garanzia di giungere a destinazione e armati del solo desiderio di poter calpestare la stessa terra del Cristo; lo sapeva bene quel folle di Ulisse, ramingo per il Mediterraneo ma con il cuore sempre rivolto a Itaca e alla sua famiglia amata; lo sapeva bene Seneca, il quale ci rammenta che “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.
Qualsiasi movimento è disastroso se non si pianifica la meta e, consecutivamente, se non si sa da dove si sta venendo. Questa è la tesi che viene argomentata da François-Xavier Bellamy in Dimora. Per sfuggire all’era del movimento perpetuo, apparso in Francia nel 2018 e pubblicato in Italia per i tipi di Itaca l’anno successivo, correlato dalle magistrali prefazioni di Lorenzo Malagola, segretario generale della Fondazione De Gasperi, e Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Associazioni famigliari.
Un saggio, quello di Bellamy, denso, disarmante, semplicemente bello. Era da aspettarselo in effetti dalla stessa penna che nel 2016 aveva dato alle stampe il best-seller I Diseredati. Ovvero l’urgenza di trasmettere, che destò notevole scalpore nell’attenta ed esigente società francese. Dimora è in primis una straordinaria parabola sull’esperienza filosofica dell’Occidente europeo, dalla dicotomia Eraclito-Parmenide sino a Galileo Galilei, passando per Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso. In secondo luogo, Bellamy procede con una raffinata fotografia dello stato di salute del mondo occidentale, reso fragile dal mito del «movimento perpetuo» e dall’utopia dell’eterna evoluzione, anestetizzato dalle leopardiane «magnifiche sorti progressive» e dal sogno di un progresso imperituro.
L’autore non si limita tuttavia a una fin troppo facile diagnosi delle fragilità del nostro mondo. Rimarrà deluso chi in Dimora desideri trovare il manifesto di un conservatorismo reazionario e fissista, nostalgico di un passato ormai tramontato. Bellamy infatti non è semplicemente un affermato filosofo e un abile insegnante nei licei della banlieue parigina. Nel 2008, a soli 23 anni, è stato eletto vicesindaco di Versailles e, nel 2019, è “sbarcato” all’Europarlamento in quota Partito Repubblicano francese.
Un buon politico è cosciente che alla diagnosi deve succedere necessariamente una prognosi. Bellamy propone quindi il concetto di “dimora”, intesa come riscoperta di «un luogo da abitare dove ci possiamo ritrovare, un luogo che diventi familiare, un punto fisso, un riferimento intorno al quale il mondo intero si organizzi» (p. 141) . Mettere radici, in poche parole, coltivare una quotidianità che possa divenire un argine alla “gassosità” di cui il nostro amato Occidente sembra essere sempre più assuefatto. Reinventare luoghi di incontro, di prossimità, di complicità, che facciano da contraltare a tutti quei non-luoghi (secondo la nota definizione di Marc Augé) che pervadono la nostra esistenza.
Ogni capitolo e ogni pagina del saggio invitano costantemente il lettore a compiere questo lavoro su se stesso, a interrogarsi su dove sia la propria Itaca e, come Ulisse, a non avere timore di solcare i mari per poterla raggiungere.
Paese: Italia, Francia, Spagna (2006) – Durata: 110 minuti – Regia: Paolo Virzì
Recensione
Tra i numerosi film su Napoleone, N. (Io e Napoleone) si segnala non per essere l’ennesima trasposizione cinematografica delle imprese militari del geniale comandante, ma per essere un tentativo di cogliere il lato intimo e privato dell’uomo.
Liberamente ispirato al romanzo N. di Ernesto Ferrero, Premio Strega 2000, il film è ambientato sull’Isola d’Elba, durante il primo esilio di Napoleone. Il protagonista è un giovane maestro elementare, Martino Papucci, infervorato dagli ideali di libertà, che nutre verso il Corso un grande desiderio di vendetta per le molti morti causate dalle sue campagne militari, e che vuole approfittare della sua presenza sull’isola per ucciderlo. Tale proposito lo ossessiona a tal punto da fargli trascurare completamente il lavoro nell’impresa di famiglia. Egli non condivide il grande entusiasmo suscitato negli abitanti dell’isola per l’arrivo di un così celebre ospite, che, al contrario considera un tiranno, come non apprezza il servilismo mostrato dalle autorità civili.
Il destino vuole che Napoleone abbia bisogno di un bibliotecario e scrivano personale, che stia a stretto contatto con lui per raccoglierne i pensieri e le riflessioni. Martino viene scelto per questo compito, avendo in tal modo l’occasione di ricevere le confidenze e i ricordi personali dell’uomo che ha fatto tremare l’Europa.
Egli ha modo così di incontrare Napoleone nella parte finale e meno gloriosa della sua parabola esistenziale, e di conoscerne il lato più privato e personale, scoprendo con sorpresa gli aspetti di debolezza e fragilità. Come quando in un’accesa discussione il giovane gli rinfaccia, quantificandole, le numerose vite sacrificate in nome della sua ambizione, e ricevendo dal generale, visibilmente addolorato, la risposta di non aumentare il suo dolore con l’aritmetica.
La frequentazione fra i due provoca un cambiamento nello sguardo che Martino ha su Napoleone, e per questo i tentativi messi in atto per assassinarlo, non risultando molto decisi, falliscono. Il rapporto tra il protagonista e Napoleone è la parte sicuramente più interessante e riuscita del film. Sebbene si trovi di fronte un uomo sconfitto, Martino non può non subire il fascino magnetico di quell’uomo, che prima di lui aveva entusiasmato masse intere; e a questo riguardo il Napoleone del film si pone questa domanda: “È Napoleone che ha scelto le moltitudini o sono le moltitudini che hanno scelto Napoleone?”.
La frequentazione alla fine si interrompe bruscamente con la fuga dall’isola e il ritorno in Francia con i cento giorni terminati sulle colline di Waterloo. Come la storia ci insegna, il Napoleone autentico che fa i conti con la storia della sua vita, che è emerso nel film, lo si vedrà soprattutto nel secondo e definitivo esilio, dove tra l’altro si riavvicinò alla fede, come testimonia il memoriale di Sant’Elena.